È uno dei volti più amati delle fiction televisive, da Il bello delle donne a Orgoglio. Nel cinema ha esordito nel 2009 in Fortapàsc di Marco Risi per poi essere tra i protagonisti di Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek. Ma a parte piccolo e grande schermo, il grande amore di Daniele Pecci resta il teatro dove ha debuttato nel 1990. Un viaggio che ha toccato mete ambiziose, Come vi piace, Edipo Re, Medea solo per citarne alcune e che adesso vive le emozioni forti di Amleto, con Maddalena Crippa in uno spettacolo di cui il 45enne attore romano cura anche la regia e che dopo la prima nazionale di domenica scorsa a Grosseto, approda martedì 18 ottobre a Roma ad inaugurare la stagione del Teatro Quirino dove resterà in scena fino a domenica 30 e poi proseguire per Avezzano, Todi, Ortona, Teramo, Vicenza, Bologna, Cagliari, Taranto e Brindisi
È innegabile che questo sia il debutto più importante della mia carriera – ci dice subito Daniele Pecci – primo perché il personaggio è quello che è, secondo perché è la prima grande regia, vera, importante. Non ho sulle spalle soltanto la responsabilità della mia recitazione e del personaggio ma anche dell’intero spettacolo, anche nella sua parte tecnica.
Amleto è l’uomo moderno per antonomasia. Un personaggio del 1601 ma estremamente attuale con tutte le sue contraddizioni che sono poi anche le nostre, del tempo che viviamo…
Credo che fra i testi antichi, perché sono passati ormai 400 anni dalla scrittura, sia quello che più di tutti abbia centrato alcuni aspetti e problematiche con grande lucidità. Non a caso è il più rappresentato fino ad oggi ed è quello su cui è stato scritto di più. È il testo più moderno in questo senso, e Shaskespeare è stato il primo a scriverlo. È il primo, è l’originale. Tutto quello che è stato scritto dopo sull’uomo in qualche modo trae le sue conclusioni da questa prima scrittura.
Amleto è stato interpretato da tantissimi e famosissimi attori. Qual è l’unicità di questa versione targata Daniele Pecci?
Non so quanto questo sia diverso da tutti gli altri, perché ne ho visti tantissimi ma non li ho visti tutti. Non ne ho visto uno così, ma certamente la scelta di farlo in questo modo non deriva dalla volontà di essere originali. Se si cerca di essere originali facendo l’Amleto si sbaglia. Fare uno spettacolo non significa mai, soprattutto con un testo classico, voler essere originali. Dobbiamo preoccuparci di farlo arrivare ad un pubblico in gran parte nuovo, perché l’80 per cento di chi verrà a teatro non ha mai visto l’Amleto, di fargli capire prima di tutto una storia e poi una serie di cose che sono all’interno della storia, insieme a quesiti e domande che lo spettatore si porterà a casa se avrà assunto lo spettacolo anche dal punto di vista emotivo. Siamo quattordici attori, ci sono le scene, c’è una struttura di ferro che pesa una tonnellata, ci sono pochissimi elementi, è molto elisabettiano in questo senso ed è recitato in piedi con pochissime cose su cui poggiarsi.
Recitare Amleto richiede un notevole esborso di energie, grande forza psico-fisica anche per far fronte alle emozioni..
Lo spettacolo è enorme ed è un lavoro titanico. È come scalare una montagna. Faticosissimo anche dal punto di vista fisico ed è difficile dal punto di vista tecnico. Bisogna stare molto attenti a quello che si fa perché se sbagli movimento puoi farti molto male, puoi distruggere qualcosa che è in scena, oppure far male alla tua partner che è in scena con te. Io mi sono fatto male già più volte per cui prima di cominciare una scena non c’è mai soltanto l’emozione, almeno per adesso che siamo ancora sotto debutto. Più che altro, più delle emozioni ti prepari a vivere l’incognita di una grande fatica, di una grande difficoltà. Per esempio, io temo moltissimo il momento della famosa scena con la madre perché è molto articolata ed è difficile fisicamente. Ci picchiamo, rotoliamo. È pericoloso e faticoso. E poi anche il duello non è facile, ci sono i ferri, ci sono le lame. Bisogna ricordare benissimo la sequenza dei colpi altrimenti ti arriva una ferrata addosso.
Ha rimarcato, Pecci, che il suo Amleto prevede una compagnia di ben quattordici attori. Nel 2016 e nel pieno una crisi economica per il nostro Paese che sembra senza soluzione di continuità, tutto ciò assume i contorni di una vera e propria impresa…
È un’impresa che dà uno schiaffo morale a tantissimi teatri nazionali, pubblici. Perché questi teatri che ricevono milioni dal Fus spesso si riducono a fare allestimenti che costano tre volte il nostro e dove in scena ci sono quattro attori. Invece per una compagnia privata a cui è stato addirittura tolto il Fus lo scorso anno, Rosario Coppolino, con la compagnia Moliere e il teatro Quirino, si è assunto questa responsabilità facendo un allestimento che in questo senso non ha precedenti per cui a lui e al suo coraggio va tutta la mia stima e la mia gratitudine.