È il giorno di Matteo Garrone. Il Racconto dei Racconti, il suo ultimo film e il suo primo fantasy, ispirato a Lo cunto de li cunti del favolista barocco Giambattista Basile, viene presentato in concorso al Festival di Cannes e contemporaneamente esce in Italia in oltre 400 sale. Ecco la nostra intervista al regista romano.
Garrone, cosa si aspetta da Cannes e cosa pensa del fatto che quest’anno siete tre italiani in concorso; lei, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino?
Il premio più grande per me sarebbe che Il Racconto dei Racconti vada bene in sala perché è un film che ha una doppia anima, nasce per il pubblico prima che per un Festival. Certo il fatto che in concorso a Cannes siamo in tre italiani per me è un motivo di orgoglio, e anche un segnale importante per il cinema italiano. Credo sia dovuto al fatto che siamo tre registi completamente diversi e facciamo dei film che non si somigliano affatto. Spero vada bene per tutti.
Lei ha detto che Il Racconto dei Racconti è solo apparentemente diverso dagli altri suoi film, ma come si passa da Saviano a Basile?
Si perché ci sono molte similitudini tra Gomorra e Il Racconto dei Racconti, entrambi parlano di persone che cercano di seguire i loro desideri e attorno c’è un’atmosfera che può essere più o meno crudele come la vita. Ed entrambi sono fatti con tante storie che si intrecciano e nel farli abbiamo avuto le stesse difficoltà a scegliere tra le tante storie che avevamo a disposizione. Nell’opera di Basile i racconti sono 50 e uno più bello dell’altro, forse la cosa più giusta sarebbe stata farne una serie televisiva. Alla fine invece ne abbiamo scelti tre che raccontano di altrettante donne in età diverse, di personaggi con la loro umanità e i loro conflitti e del loro seguire in maniera ossessiva i loro desideri e i loro egoismi.
Ma cosa l’ha colpita in particolare dei suoi racconti?
La bellezza dei personaggi e la ricchezza visiva, delle immagini in particolare, che sentivo vicina alle mie caratteristiche visto che io vengo dalla pittura, e poi l’originalità delle storie e la loro contemporaneità, del resto le fiabe si muovono su degli archetipi per cui sono sempre moderne e universali. La modernità dei racconti di Basile è sorprendente, già nel 600 affronta i temi della chirurgia estetica…
Siete rimasti fedeli alle sue storie?
In realtà le abbiamo interpretate liberamente, poi abbiamo inserito delle immagini anche da altri racconti, come il fatto che la regina che non riesce ad avere figli non ride mai, che fa parte di un altro racconto, e alcune cose ce le siamo un po’ inventate.
Ma perché ha scelto proprio un autore del 1600 come Giambattista Basile?
Perché lo ritengo un genio assoluto e anche se l’ho conosciuto tardi, l’ho sentito subito familiare. Questa mescolanza tra reale e fantastico, tra comico e tragico che ha Basile mi sembrava abbastanza vicina alla mia poetica e al mio gusto personale. L’imbalsamatore potrebbe benissimo essere un film di Basile in chiave moderna. Sono stato felice di dare anche la possibilità a un autore così ingiustamente conosciuto da pochi di essere letto da un pubblico un po’ più ampio grazie anche al mio film e anche di esplorare un genere nuovo. Volevo cambiare genere e forse mettermi un po’ nei guai.
Perché parla di guai?
Perché fare un fantasy oggi in Italia è una scelta masochistica e incosciente, anche se poi dal punto di vista del mio percorso artistico mi sembra abbastanza naturale. Nei miei precedenti film partivo da una realtà contemporanea cercando di trasfigurarla in una dimensione fantastica, pensavo che potesse essere legittimo anche provare a fare il contrario, partire da racconti magici e attraverso il percorso inverso portarli in una dimensione più concreta e realistica. L’elemento di favola nera poi ce l’ha anche Gomorra. Potrebbe sembrare un salto mortale, ma lo è solo in parte, anche se è stato molto difficile realizzare il film.
Quali sono state le difficoltà maggiori?
Intanto non era facile per me montare un film fantasy di queste dimensioni, abbiamo avuto parecchie difficoltà tecniche. Per me poi che sono abituato a controllare tutte le immagini sul set, non sapere con precisione quale sarebbe stata l’immagine a volte era anche un po’ frustrante. Molte soluzioni tecniche poi erano nuove non solo per me, ma anche per altri che hanno lavorato con me. Poi c’era il rischio di fare l’imitazione di un fantasy americano, ma siamo stati attenti a mantenere la nostra personalità e autenticità, ed è stata una buona idea quella di far venire gli attori inglesi e americani a girare da noi perché mi ha consentito di mantenere ben solide le radici del mio paese e le origini dei racconti di Basile, avendo la sensazione di avere tutto sotto controllo.
Il film infatti è stato girato tutto in Italia…
Ci abbiamo messo 8 mesi per trovare le location giuste in giro per l’Italia, ma avevamo l’imbarazzo della scelta. La linea guida era cercare luoghi reali ma che sembrassero ricostruiti in studio. Così abbiamo scelto ad esempio le Gole dell’Alcantara e il Castello di Donnafugata in Sicilia, dove c’è quel labirinto che non abbiamo potuto fare a meno di usare nel film, e il Bosco del Sasseto nel Lazio. Questo perché il film si muove su vari piani: realismo, dimensione fantastica e ricostruzione, un legame con le origini del cinema, dove l’artificio si sente ma c’è la verità delle immagini, e gli effetti speciali sono una componente artigianale che da più credibilità alla scena.
Il cast invece come l’ha scelto?
La scelta degli attori per me parte come sempre dalla loro fisicità, anche se la loro bravura non è in discussione, così Salma Hayek era giusta nei panni di una regina spagnola del seicento, Vincent Cassell mi sembrava potesse avere quel doppio registro comico e drammatico, mi ricordava un po’ Gassman come fisicità, Bebe Cave nei panni di Viola è stata una sorpresa, l’unica attrice che ho visto per quel ruolo: lei viene dal teatro, ho visto il suo provino e mi ha colpito subito, ma non pensavo arrivasse a raggiungere quel livello. Agli attori in genere lascio molta libertà espressiva, e anche se in questo film la sceneggiatura è rimasta abbastanza blindata, hanno avuto tutti la libertà di costruire i personaggi anche sulle loro caratteristiche, così come sempre accade nei miei film dove personaggio e persona si sposano insieme.
I pro e i contro di questo film
Ho dovuto rinunciare a girare in sequenza, un lusso che ti puoi concedere quando non hai attori strapagati perché se hai nel cast Salma Hayek e Vincent Cassel che al giorno prendono non diciamo quanto, non li fai stare fermi tre giorni e della sequenza te ne freghi. Però è stata davvero un’avventura. Quando lo abbiamo scritto pensavo che mi sarei divertito molto a farlo, speriamo che si divertirà il pubblico perché, come dicevo, è un film che nasce per far emozionare e divertire chi lo vede, sperando che gli lasci qualcosa.