Cantautrice, musicoterapeuta, insegnante di canto (anche ad Amici), attrice. E poi l’impegno sociale, in difesa dei diritti umani, della pace, dell’ambiente e degli animali che si rispecchia nella sua musica e nelle sue performance. Anche al Festival di Sanremo, dove Grazia Di Michele arriva per la quarta volta e stavolta assieme a Mauro Coruzzi, in arte Platinette, con il brano Io sono una finestra, che ritroveremo anche nel suo nuovo album dal titolo Il mio blu in uscita nei giorni del Festival. L’occasione per chiacchierare di gay e omofobia scomodando Dickinson, De Andrè, Oscar Wilde e pure Povia.
Grazia, come nasce la collaborazione con Mauro Coruzzi?
Ci conosciamo da tanti anni. In tempi più recenti ci eravamo visti più spesso sia per la sua partecipazione ad Amici, sia perché Mauro aveva inserito una cover della mia Io e mio padre nel suo disco Perle coltivate, dunque le frequentazioni – e le confidenze – si erano fatte più fitte.
Non è la prima volta che si parla di omosessualità al Festival di Sanremo, sia con le canzoni che con gli ospiti. Credi che sia la vetrina giusta e soprattutto che possa servire a qualcosa?
Devo dirti che non mi pongo il problema di “parlare di omosessualità”. Parlo della vita, dei sentimenti, delle emozioni, che per fortuna toccano in egual misura etero, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali. E Sanremo è il posto giusto per parlare della straordinaria bellezza e ricchezza dell’umanità.
Il testo della canzone è molto poetico, ma al tempo stesso chiaro, pensi sia il modo giusto di parlarne?
Il brano è la confessione di un’anima che, come dice Emily Dickinson, si trova al cospetto di se stessa. È scritto in prima persona ed è un appello che chi canta non rivolge a nessuno se non a se stesso, ma nello stesso tempo è un frammento di verità e la verità è sempre il modo migliore per comunicare con gli altri.
Mauro Coruzzi apprezza molto la tua canzone, ci voleva una donna per esprimere così bene i sentimenti dei gay?
Non saprei: i sentimenti sono sentimenti. Credo, ad esempio, che Andrea di Fabrizio De André sia così efficace proprio perché racconta un sentimento fortissimo, senza porsi il problema del genere sessuale dei due amanti. Eppure in quel caso la perdita dell’amato lascia in bocca ad Andrea “un dolore, la perla più scura”. Per parafrasare Oscar Wilde quell’amore diventa un “dolore che non osa pronunciare il suo nome”. Trovo che sia un verso di una forza ineguagliabile. Ed è scritto da un uomo. Ma forse in quello che dici c’è del vero: le donne vengono da esperienze di discriminazione (non ancora risolte, purtroppo) e forse sono più “vicine” in questo senso.
Possiamo scherzosamente definirvi gli anti-Povia?
Non siamo venuti a Sanremo in cerca di provocazione. L’unica cosa che vorremmo provocare è qualche riflessione, soprattutto in chi è vittima dei pregiudizi e per me le prime vittime sono proprio quelli che discriminano, chiudendosi a un mondo più ricco e più bello dell’angusto orto di sicurezze che coltivano. Povia ha raccontanto un’altra storia, legittimamente. Quello che non condivido è la strumentalizzazione di quel brano a fini ideologici. Quello è davvero terribile.
Ma perché ci sono ancora tanti pregiudizi nei confronti dell’omosessualità che a volte sfociano in vera e propria omofobia anche violenta?
C’è pregiudizio in generale nei confronti del diverso, ma è stato costruito ad arte dalla struttura sociale secolo dopo secolo, anno dopo anno: riguarda il sesso, la statura, il colore della pelle, la provenienza geografica, il reddito, il peso e ovviamente l’orientamento sessuale. In quest’ultimo caso il pregiudizio è alimentato, senza scrupoli, anche da una certa politica becera che strumentalizza la sofferenza di tanti esseri umani. E questa strumentalizzazione a volte fa leva proprio su persone che hanno dei problemi o disagi a cui non sanno dare risposte. Non a caso alcuni omofobi sono essi stessi in cerca di una loro identità sessuale, magari sono gay cresciuti in contesti dove l’omosessualità è bandita e non riescono a trovare un equilibrio interiore. Sono vittime di se stessi, un po’ come il colonnello di American beauty, non so se lo ricordi.
Come dimenticarlo… cosa pensi dei matrimoni gay e delle polemiche scoppiate quando per esempio alcuni sindaci hanno registrato al Comune le unioni di coppie omosessuali?
Penso che i Comuni siano più vicini ai cittadini di quanto lo sia lo Stato. Pisapia a Milano o Marino a Roma, ma anche un cattolico come Nardella a Firenze, non possono far altro che prendere atto che i loro cittadini si amano fuori da ogni pregiudizio ideologico. Due persone si promettono amore, cura, rispetto, aiuto per tutta la vita. C’è da commuoversi, non da gridare allo scandalo.
Credi che un testo del genere possa favorire o impedire un’eventuale vittoria della canzone al Festival?
Credo che potremmo essere eliminati al primo turno. Ma soprattutto penso anche che avremo davvero vinto se domani o fra un mese o fra un anno questa canzone farà compagnia un pomeriggio a un ragazzo o una ragazza che fatica ad accettarsi per quello che è, e lo aiuterà o la aiuterà a scoprire la bellezza unica della sua anima, che non può temere alcuna discriminazione.