Un film per essere bello deve emozionare. E non necessariamente tutti quelli che lo vedono. Magari ci sono corde scoperte in ognuno di noi che se toccate fanno scattare quel qualcosa che ti fa ricordare quel film negli anni a venire o anche solo qualche fotogramma che, ripensandoci, ti suscita la stessa emozione di quando l’hai visto per la prima volta. Dunque La pazza gioia di Paolo Virzì, oggi al Festival del cinema di Cannes nella Quinzaine des Realisateurs e da martedì 17 maggio in sala, potrebbe essere, per alcuni, uno di quei film.
Tocca sicuramente più di una corda il personaggio di Donatella, una ragazza “nata triste” per sua stessa definizione ma alla quale la vita non ha certo dato una mano per farle cambiare umore: balla sul cubo in una discoteca (questo non si vede, ma lo racconterà lei a metà storia) e il proprietario del locale la mette incinta, poi non ne vuole più sapere, né di lei né tanto meno del bambino, neanche quando lei glielo porta in passeggino tra i carri allegorici del Carnevale di Viareggio, che ha già una famiglia sua. La goccia, probabilmente, che fa traboccare il vaso già stracolmo di anaffettività, abbandoni, distacchi e solitudini, alla madre del resto non è mai importato nulla di lei, al padre ancora meno e non si capisce neanche perché lei lo idolatri, o forse sì, forse perché a qualcosa di bello della sua vita, seppure inventato, si deve pur aggrappare. Anche se poi butta a fiume, e non è solo una metafora, l’unica cosa che di davvero bello la vita, forse in un attimo di distrazione, le aveva dato. L’aspetto esteriore di Donatella riflette appieno quello interiore: magrissima, dai colori scuri, tanti tatuaggi, perennemente spettinata, l’espressione sempre di stupore malinconico: Micaela Ramazzotti è perfetta.
Ma tocca anche il personaggio di Beatrice, altezzosa, snob, lievemente razzista, quindi non proprio votata all’empatia, eppure esilarante nella sua ingenuità un po’ cattiva e simpatica da far ridere e da perdonarle ogni difetto. Anche con lei la vita non è stata generosa: di soldi sì, ne aveva tanti, soldi di famiglia, ma che famiglia… anche a lei la madre non ha badato poi molto, anche rivedendola ora non ha alcuno slancio d’amore nei suoi confronti. Certo Beatrice ha sbagliato, s’è lasciata fregare da un tipo davvero poco raccomandabile, ha gettato al vento tutti i suoi averi, ma davvero è stata tutta colpa sua? E anche lei non può fare altro che inventarsi una vita diversa, anche se in un modo differente da Donatella: il suo uomo l’ama ancora, lei è ancora desiderabilissima e tutti gli uomini la guardano con passione, sa tutto di tutto, è più brava dei medici, può prescrivere lei i farmaci alle ospiti della comunità psicoterapeutica dove comanda a bacchetta, lei è meglio di ogni dottore, ma non è vero proprio niente. Ma Donatella, quella poveraccia, che avrà mai fatto di male, deve aiutarla, a dispetto del suo apparente egoismo diventerà quello il suo scopo, esaudire l’unico desidero che Donatella ancora ha nel cuore, esponendosi anche più di quanto dovrebbe: Valeria Bruni Tedeschi è perfetta.
Ecco, il loro punto di incontro, quello di Beatrice e Donatella, è Villa Biondi, la comunità psicoterapeutica dove sono entrambe ricoverate perché, si sa, chi si inventa la vita è pazzo, soprattutto se per farlo hai combinato guai grossi. Il loro legame sarà forte quanto inaspettato tanto da mettere in atto insieme la loro fuga che, per una serie di circostanze, sarà in abiti decisamente vintage e in una decappottabile, che tanto ricordano Thelma e Louise, e anche Virzì dice di averci pensato ma soltanto dopo aver girato la scena. Sono loro dunque il pezzo forte di tutto il film, di certo supportate dalla sceneggiatura scritta da Virzì assieme a Francesca Archibugi, dalla regia, così come come dal coro del cast tutto, dalla bravissima Valentina Carnelutti ad un’involgarita Anna Galiena, da Marco Messeri a Bobo Rondelli che fa solo un cameo ma pare quasi nato per quello. Sono Micaela Ramazzotti e un’inedita Valeria Bruni Tedeschi (qui la nostra videointervista alle due attrici) a fare de La pazza gioia uno di quei film da ricordare, e non è un caso che l’idea tutta sia nata proprio dal guardarle, quelle due, per caso, insieme, che andavano via di spalle in modo un po’ buffo, come ci ha raccontato lo stesso Paolo Virzì: