Portare Pirandello al cinema è una bella sfida. Michele Placido lo ha fatto scegliendo dal vasto repertorio del drammaturgo siciliano una commedia del 1917 intitolata L’innesto, rappresentata due anni dopo al teatro Manzoni di Milano con Maria Melato e pare che già a quei tempi suscitò scalpore. E cogliendo dall’altrettanto vasto panorama di attori italiani due tra i più popolari, più avvezzi alla commedia a dire il vero, come Ambra Angiolini, che è Laura, e Raoul Bova, che fa suo marito Giorgio. Poi ha trasferito i fatti da Roma a un piccolo paese della Puglia e ha intitolato il film La scelta, forse, viene in mente guardandolo, per puntare più sulla volontà di lei piuttosto che sull’evento in se sul quale non avere alcun controllo, dal 2 aprile in 230 sale italiane e probabilmente il 21 aprile al Festival Internazionale del Cinema di Pechino.
Laura insegna canto corale ai bambini, Giorgio fa il cuoco. Sono felici, si amano, vogliono un figlio che non arriva. Poi il colpo, la rottura, la tragedia: Laura viene stuprata e dopo un po’ si accorge di essere incinta. Farà scalpore anche oggi quella sua scelta di voler tenere a tutti i costi il frutto di quella violenza, anche se “non è mai stato specificato che lo sia – dice Ambra – potrebbe anche essere il loro figlio mai arrivato, giunto proprio nel momento in cui la loro fragilità ha reso fertile il loro amore. E in questo il film è un thriller, anche se assolutamente sentimentale, che non fa stare sereno chi guarda e questo è molto positivo perché i film servono per creare dibattiti”.
La scelta certo rispetterà il suo compito: ci si chiede, scena dopo scena, perché Laura non corra all’ospedale, perché rifiuti di farsi anche solo visitare da un medico, nonostante la madre la ammonisca che così a rischio mette anche la salute di Giorgio e di tutti loro. Ci si chiede anche perché non voglia sporgere denuncia, perché non vada a riprendersi la borsa che il maresciallo, ruolo che si è ritagliato lo stesso Placido, le ha ritrovato, e perché non voglia identificare, quasi fino alla fine, il suo aggressore. Oggi, in cui il femminicidio è piaga sociale e culturale e non ci si stanca di ripetere che bisogna parlare e denunciare. Se ne può discutere, appunto.
“Non dico che non si debba denunciare – dice Ambra – ma ci sono donne violentate che scelgono qualcosa di poco popolare, come quelle che mentre subiscono violenza non oppongono resistenza, ma solo perché sperano che finisca presto, ed è una cosa poco raccontata. Così come è stato per Laura che resta immobile e non denuncia per non diventare il caso di cronaca che magari va a finire in televisione alle quattro del pomeriggio. E questa è una scelta coraggiosa. Quello che mi ha colpito – continua Ambra – è che in Laura non ho visto una vittima, ma è lei che a un certo punto decide di smettere di subire e di far subire agli altri, marito, parenti e società che deve necessariamente giudicare. Anche se c’è un finto silenzio intorno che in realtà è un rumore gigantesco. Una Laura decisamente coraggiosa, nuova, libera, che coglie l’occasione di non rimanere vittima di quello che è un incidente, brutto e inatteso, ma un incidente, che all’improvviso spezza una musica bellissima. E così decide di cominciare a farsi altre domande, che non sono quelle degli altri, e a mettere anche il marito in condizioni di farsi domande diverse, ma anche lui subisce violenza in qualche modo”
“Io vedo una contemporaneità e un’attualità talmente forti che ritengo anche necessario un film che parli di questo – dice Raoul Bova – che affronti la difficoltà vera di una donna e di un uomo e di quello che entrambi provano in una certa situazione. Fanno percorsi diversi, certo, tra la violenza subita e assistita e le reazioni delle persone, ma la loro è una simbiosi così profonda che passa anche dalla rabbia al dolore di un uomo che si sente un uomo a metà, perché non è riuscito a dare un figlio alla donna che ama e ora questo figlio improvvisamente è arrivato, insieme all’ira dell’uomo fragile abbattuto nella sua virilità”.
Di Pirandello Placido ha messo in scena più di un lavoro a teatro e annuncia pure di voler fare presto un film sulla sua vita, magari con Sergio Castellitto. “Ho trovato questo testo teatrale sconosciuto del 1917 sul quale stava lavorando da qualche anno il maestro Ronconi – racconta – che parla di una madre che fa una scelta straordinaria per quei tempi. Mi ha colpito il percorso dei personaggi e in Pirandello, si sa, si distinguono soprattutto quelli femminili. Ma mi ha colpito anche il misticismo di questa storia un po’ miracolosa anche se noi la vediamo solo come una violenza. Una storia contemporanea molto forte – continua il regista – ancora oggi è pieno il mondo di donne costrette ad accettare una maternità imposta, magari dalla loro religione. Laura invece fa una scelta etica e sceglie che il mondo continui, nonostante tutto”.
Laura ha una sorella, che è il suo opposto completo, o forse chissà, il suo alter ego, si chiama Francesca e la interpreta Valeria Solarino: “Francesca rappresenta un po’ la voce comune – racconta – il giudizio che viene dato senza riflessione profonda che diventa quindi pregiudizio. Apparentemente è felice, ha un marito e un amante e ognuno sa dell’altro, e ha due figlie che però non considera più di tanto. Insomma ha tanto amore intorno che però non sente e i consigli che dà alla sorella sono in realtà un pensare comune. Questo film è la storia d’amore in assoluto, tra due persone e verso qualcun altro che non ha colpe e che riesce a cancellare il fatto esteriore, va oltre e in modo molto più profondo, vede il miracolo della vita e per questo è un film d’amore”.