Esilarante, sarcastico, grottesco, ricco di trovate e citazioni, un quadro di noi stessi e dei nostri peccati moderni che ci rendono dei mostri nuovi che ci sarebbe da piangere se non facesse tanto ridere. Costato tre milioni, esce giovedì 19 marzo distribuito da Warner Bros. Pictures in 400 sale. Si intitola La solita commedia, ma di certo non lo è.
Dopo quattro serie, due film e 80 spettacoli teatrali, I soliti idioti salutano e vanno via, per sempre, intelligentemente, prima di esagerare e di stancare cambiano registro, non solo andandosi a fare quattro risate sul palco dell’Ariston, peraltro con la canzone Vita d’Inferno colonna sonora del film, ma con un colpo di genio che reinventa la commedia rifacendosi alla commedia. Che di certo, come detto, non è la solita. E il sottotitolo Inferno parla chiaro.
Comincia infatti tutto da qui il nuovo film di Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, registi assieme a Martino Ferro e interpreti di vari personaggi, come del resto tutti gli altri attori. Prima delle fiamme dell’ade c’è un demonio grande e grosso, ma solo perché è su un’impalcatura e indossa due braccione finte con cui si diverte a mollare superceffoni ai malcapitati che gli si presentano davanti. Si chiama Minosse e ci tiene a ripetere che è lui il responsabile, quello che deve smistare i vari peccatori nei giusti settori. Solo che laggiù sono rimasti un po’ indietro: tecnologia zero, c’è ancora il telefono a gettoni, ed è quello che Minosse, sceso dall’impalcatura, usa per chiamare il capo perché non sa proprio di cosa parlano quelli che si presentano come hacker o stalker e tanto meno sa dove piazzarli, e neanche il suo assistente tale e quale a Gollum riesce ad aiutarlo.
Lucifero a sua volta chiama Dio che indice una riunione con tutti i santi. L’idea vincente viene a Francesco ma Ambrogio gliela frega: rimandare sulla terra Dante che tanto bravo e capace era stato nel suddividere i peccatori per specifici gironi e può rifarlo anche stavolta. Ma solo dopo aver capito di che peccati moderni si tratta con l’aiuto, ovvio, di Virgilio, che però lo è solo per cognome perché in realtà si chiama Demetrio ed è un precario di trent’anni che per aiutare Dante perderà una parte molto importante di sé, soprattutto a quell’età, nel fior fiore degli anni e della virilità.
Per Dante, sebbene un po’ spaesato e frastornato da auto, airbag e pubblicità aggressive, non sarà difficile con la sua guida individuare i sei gironi: Bar alle 8 di mattina, il traffico nell’ora di punta, il supermercato, la pubblicità invasiva, il condominio e la movida, dove tutti più o meno urlano e si dannano neanche fossero già all’inferno, o forse è così. E i nuovi peccatori come il molestatore di chi ha fretta e il tiratore di pacchi, abbastanza innocui alla fine, un po’ meno gli abusatori di comando come gli sbirri allo sbando che pestano un fermato durante l’interrogatorio, e anche se si stratta solo della macchinetta delle merendine, il riferimento è forte e chiaro.
“Abbiamo cercato di raccontare argomenti tosti con una certa leggerezza perché lo scopo è proprio quello di far ridere – spiega Biggio – ma ci piace anche provocare, passare un po’ il limite, andare un po’ oltre, e poi l’argomento della polizia l’avevamo già trattato da soliti idioti con i poliziotti scureggioni, ora volevamo raccontarne un altro aspetto”. “Noi non vogliamo certo che passi il messaggio che tutta la polizia è così – sottolinea Mandelli – però sicuramente queste sono cose che leggiamo sui giornali e allora la libertà è anche poter scherzare su cose che sono serie e drammatiche”.
Ecco poi il maniaco della pulizia e dell’ordine, gli adoratori di tragedie, il covatore di rabbia, l’incapace del wi fi e quello contro il coniuge, fino al tecno incontinente così dipendente da messap da finire in Trainspotting ma “non c’è una condanna, lungi da noi giudicare, non esprimiamo mai un giudizio quando rappresentiamo delle cose, ma quella della tecnologia è diventata una nevrosi, l’abuso ci fa male, sono contro l’uso smodato e un po’ codardo del telefonino – dice Mandelli – e secondo me si stava meglio quando si stava peggio perché un tempo le cose erano più belle, dalle case alle macchine a come si comunicava tra le persone”.“Sono certo più belli le macchine da scrivere e i telefoni a gettoni che si vedono nell’inferno del nostro film rimasto un po’ indietro – dice Biggio – la nostra paura è che ci sia questa bruttezza che avanza, quasi fosse una cosa voluta da qualcuno perché il brutto costa meno e ti fa guadagnare di più”.
Eccolo dunque, il mostro dei mostri, il cattivo supremo, il ministro della bruttezza che ha la faccia di Gianmarco Tognazzi, già con loro negli sketch televisivi e nei due precedenti film de I soliti Idioti: “mi ricordano, seppure in una chiave diversa, il film a episodi di Dino Risi I mostri che fece mio padre. Vent’anni fa con Alessandro Gassman volevo fare I figli dei mostri, che è poi quello che hanno fatto loro con la loro critica a certi difetti e personaggi della società, così ho trovato un grande divertimento vedere qualcuno che ha fatto quello che noi non siamo riusciti a fare. Inoltre – continua Tognazzi – l’idea del trasformismo e di fare personaggi diversi è una cosa che mi ha sempre divertito, e poi il ministro della bruttezza è la somma di tutti i personaggi e di tutte le bruttezze che si vedono nel film”. Del resto l’idea era proprio questa, ovvero “la voglia di raccontare le mostruosità degli italiani con affetto – dice Biggio – proprio come ne I mostri, perché un piccolo mostro cova in ognuno di noi”.
Tante le trovate esilaranti, a cominciare da Gesù stravaccato nel seggio accanto al padre che invece di seguire il gran consiglio chatta e digita col telefonino, e soprattutto che a interpretarlo sia una donna, Tea Falco: “in fondo Gesù forse è un po’ donna nell’iconografia classica – dice l’attrice catanese – io ci vedo anche un po’ di mascara, non voglio sembrare blasfema ma finalmente con una Chiesa che è sempre stata un po’ maschilista, un Gesù donna è una specie di rivalsa femminista e interpretarlo è stato fantastico”.
E che dire del papà che non è da meno, un Dio interpretato da Paolo Pierobon (il De Silva di Squadra Antimafia), “indaffarato e con mille casini, un po ‘in confusione e molto più umano” dice Mandelli, con un ufficio tutto bianco e la segretaria, che dà il cinque a Lucifero, beve, fuma e si impasticca e sarà pure un dio, ma alla lunga fa male pure a lui. E di Padre Pio “il migliore che sia mai stato rappresentato, non me ne voglia Castellitto – aggiunge – e niente blasfemia perché già il fatto che li rappresenti vuol dire che credi che esistano”.
E la conclusione la lasciamo proprio a lei, a quel Gesù femmina della Falco che “ho pensato che questo film poteva essere La grande bellezza in chiave comica e che magari poteva intitolarsi La grande bruttezza”.