Nel 1969 l’uomo è arrivato sulla luna. Nel 2033 sbarca su Marte. Ci sono voluti 64 anni per rinnovare l’evento e celebrare la grandezza dell’uomo che si spinge oltre, 64 anni in cui non sono mancati robot esploratori che hanno raggiunto il pianeta rosso fotografandolo, analizzandolo, persino prelevando dei campioni, adesso è ora di lasciarci un’impronta vera su quel terriccio rosso come un campo da tennis, l’impronta umana. Ecco dunque che il comandante Ben Sawer (Ben Cotton) parte con la navicella Dedalus e i componenti del suo internazionale, fidatissimo e motivatissimo equipaggio cui poco prima del lancio ripete per l’ennesima volta, semmai lo avessero dimenticato, che in gioco c’è il futuro dell’umanità ma anche la loro vita, ma a nessuno di loro sfiora neanche per un istante l’idea di tirarsi indietro, nessuno davanti alla domanda “cosa ti mancherà della terra?” è vagamente intenzionato a rispondere “troppo, me ne torno a casa”: sono Javier Delgado (Alberto Ammann), Amelie Durand (Clementine Poidatz), Joon Seung (Jihae) che a terra lascia la gemella che lavora nella base di lancio, Robert Foucault (Sammi Rotibi), Marta Kamen (Anamaria Marinca) e Ava Macon (Kata Sarbò). A loro il compito più importante, quello di colonizzare il pianeta. Perché arrivare su Marte è una grande impresa. Restarci è di gran lunga più inquietante.
Comincia così Marte, la spettacolare docu-serie in sei puntate prodotta da Ron Howard e Brian Grazer e diretta da Everardo Gout, da stasera, martedì 15 novembre in prima serata su National Geographic Channel, in Italia e contemporaneamente in altri 170 paesi, che alterna momenti di fiction, quando siamo nel futuro, e parentesi documentaristiche di divulgazione scientifica, altrettanto coinvolgenti e interessanti tanto da risultare, in parte, reciprocamente disturbanti nel loro sostituirsi improvviso, un po’ come quando la pubblicità interrompe il film ma è così bella che poi ti sembra che sia il film a interromperla, o almeno questa è stata la nostra impressione nel vedere in anteprima la prima puntata l’8 novembre alla premiere romana. National Geographic ha curato la parte scientifica e Fox quella spettacolare. Peccato non ci siano protagonisti italiani, però nel cast tecnico c’è la nostra costumista Daniela Ciancio (La Grande bellezza) che ha fatto davvero un bel lavoro. “Una serie che ridefinisce il concetto stesso di racconto televisivo – dice Ron Howard – da molto tempo ci chiediamo come raggiungere Marte, da oltre un secolo ne scrivono gli scrittori di fantascienza. Si trattava soltanto di aspettare il momento in cui la tecnologia ci avrebbe consentito di dare corpo alla nostra immaginazione”. E forse ci siamo.
Intanto su Dedalus qualche peripezia, un componente elettrico che salta e non è proprio come quando si guasta un fusibile della macchina, sballottamenti vari, il gesto eroico del comandante, che non manca mai, che è lui ad andare dietro a riparare il danno e pressato dalla gravità resta appiccicato alla parete come un geko, tensione, paura ed eccoci improvvisamente catapultati di nuovo ai giorni nostri, con esperti in materia che ci spiegano, proprio come in un documentario scientifico, cosa sta accadendo, o meglio cosa potrebbe accadere, ai nostri coraggiosi posteri, esperti come Elon Musk, il fondatore dell’azienda aerospaziale statunitense Space X che sta lavorando allo sviluppo di tecnologie che riducono i costi dell’accesso allo spazio; Charles Bolden, ex astronauta e amministratore della Nasa; James Lovell, il comandante dell’Apollo 13, quello della famosa frase “Houston, abbiamo un problema” (che poi in realtà fu “Houston, abbiamo avuto un problema” e a pronunciarla fu il pilota) che ispirò l’omonimo film dello stesso Ron Howard nel 1995; la mission manager di Mars 2020 Jannifer Trosper e Andy Weir, autore del romanzo The Martian da cui Ridley Scott ha tirato fuori il film. E proprio come accade in quel film a Mark (Matt Damon) che, abbandonato per errore lassù dai suoi compagni che lo credono morto, e che non è proprio come essere dimenticato all’autogrill, dovrà inventarsene di ogni per raggiungere il campo base, così anche Ben e compagni devono giocare d’astuzia e creatività perché sono atterrati a circa 75 chilometri dal punto previsto e attrezzato per l’occasione.