“Come diceva Marcello Marchesi, tutto è perduto tranne l’ospite d’onore, e io sono l’ospite d’onore”. Parola di Pippo Baudo che infatti abbiamo incontrato ieri proprio in tale vesti a Palazzo Ferrajoli, a Roma, alla presentazione del libro 1948 Gli italiani nell’anno della svolta, oltre 400 pagine, edizioni il Mulino, scritte da Mario Avagliano e Marco Palmieri a raccontare di come eravamo e di come, di conseguenza, siamo diventati. “Nel 1948 avevo 12 anni – ci racconta Pippo Baudo nella nostra videointervista che trovate a fine articolo – e ricordo il periodo molto bene perché a casa mia si faceva tanta politica: mio padre era molto politicizzato, era alunno di Don Sturzo, quindi democristiano di ferro, e si temeva moltissimo quest’appuntamento del 18 aprile con lo scontro tra cattolici e comunisti, vissuto in maniera molto attiva nel mio paese. Si aveva paura del comunismo e si aveva timore di perdere, ho la sensazione che lo stesso Togliatti sia stato contento della sconfitta. Sono ricordi di famiglia rimasti impressi nella mia memoria molto bene”. Una cosa importante mancava sicuramente in quegli anni in Italia, importante soprattutto per il futuro Pippo nazionale che, al contrario di tanti italiani, a quanto pare aveva già ben chiaro il suo futuro: la televisione. “C’era soltanto la radio – ricorda con noi Pippo Baudo – l’ascoltavo, mi piaceva, ascoltavo le canzoni, suonicchiavo già il pianoforte e avevo già nella mia testa l’idea di fare spettacolo…” La sua carriera l’aveva quindi già nella testa e nel suo destino sin da bambino, e se ad oggi gli chiedi com’è stata ti risponde: “bella, superiore ad ogni più rosea e immaginifica aspettativa”. La nostra videointervista a Pippo Baudo:
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