Ognuno di noi ha la sua Belle Époque, il giorno da ricordare per sempre, il momento più bello della vita cui guardiamo con commozione e nostalgia perché sappiamo che non potrà più tornare. E se invece fosse possibile rivivere gli attimi, le ore, i giorni in cui ci siamo sentiti felici, onnipotenti, grati alla vita? La Belle Époque di Nicolas Bedos, già applaudito a Cannes e presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma e in sala da giovedì 7 novembre, racconta proprio questo, ma non è fantascienza o fantasy, anzi, nulla di più reale e dolorosamente, ma anche un po’ comicamente, vicino alla nostra quotidianità. Avvalendosi di un cast eccezionale e perfetto in ogni ruolo, da Daniel Auteuil a Fanny Ardant, da Guillaume Canet e Pierre Arditi a Doria Tillier, il film ci racconta di un tizio dallo strano mestiere: tu gli chiedi di voler partecipare a un banchetto dell’800 con dame e cavalieri, di poter conoscere Hitler (tutti i gusti sono gusti, più o meno), o di poter parlare con tuo padre morto da tempo perché non gli hai detto delle cose importanti, e lui ti accontenta. Ma non con una bacchetta magica o uno schiocco di dita, bensì con un lavoro minuzioso e teatrale di ricostruzione del luogo, del tempo e delle persone di quel luogo e di quel tempo, servendosi di scenografie cinematografiche, bravi attori e trucchi eccezionali. Dietro profumato compenso, si intende, perché si sa: la felicità, per quanto breve, effimera e artificiale, si paga. Così ecco Victor (Daniel Auteuil) che non si riconosce più in questa epoca digitale e non si sente più amato dalla moglie Marianne (Fanny Ardant) che invece è supertecnologica e rifiuta il tempo e l’età che avanzano manifestando insofferenza nei confronti di ogni cosa che l’anziano marito fa, e ancor di più, non fa. Così quando per una ragione che lui non conosce quell’eccentrico imprenditore gli offre di rivivere i suoi giorni migliori, lui non ha dubbi: il suo giorno più bello, la sua Belle Époque, è stato a Lione il 16 maggio del 1974 quando in un cafè ha incontrato per puro caso la donna della sua vita, sua moglie, restandone ammaliato e legato per sempre.
La Belle Époque, film bellissimo quanto la colonna sonora ad hoc, commuove e diverte, ci accompagna in situazioni anomale, al limite del grottesco, per riportarci di colpo nella realtà un po’ grigia e tanto vera, lasciandoci alle nostre domande. Ad esempio, chi tra Victor e Marianne è più infelice e in fuga dalla vita? Può il timore della vecchiaia, e quindi della morte, condizionarci a tal punto da farci rimuovere il nostro passato lanciandoci con fin troppo entusiasmo in un futuro che non ci appartiene? O, al contrario, può la tristezza del presente bloccarci alla felicità del passato? In fondo non è che il mistero del tempo, della felicità e dell’amore con cui continuiamo a convivere. Un po’ tutti noi. Soprattutto quando, non più giovani, ci guardiamo indietro con rimpianto perché è sempre più facile che guardare avanti con coraggio e sicuramente ci fa meno paura. “La nostalgia – ha detto Fanny Ardant ospite della Festa del Cinema – non è una malattia, ma una ricchezza, un modo per restare vivi, per non cancellare la verità del passato che con il presente fa un bel mix. Io ho tanti momenti felici del mio passato che vorre rivivere, ma anche quelli meno felici perché sono quelli da cui si impara di più“.
“La Belle Époque nasce da un’immagine, o meglio da una situazione che mi è sembrata sia patetica che comica – racconta Nicolas Bedos – ho immaginato un uomo avanti con gli anni litigare con sua moglie, a casa. Lei lo sta criticando per la sua misantropia, la sua incapacità di stare al passo con i tempi, con la tecnologia, con i suoi figli e così via. Quindi, l’uomo esce dalla cucina ed entra in una piccola stanza dove tutto – dalla decorazione interna agli LP fino ai vecchi nastri VHS – lo riporta agli anni ’70. Una specie di bolla protettiva che lui stesso ha creato. L’ho visto accendersi una sigaretta, guardare una trasmissione in una vecchia TV di legno e tirare un sospiro di sollievo. Eccolo: un uomo che sta annegando nel presente e si rifugia in un periodo che lo rassicura e lo protegge. Volevo filmare la vertigine che a volte sento intorno a me. Soprattutto perché quest’uomo è nato dal riflesso di alcune persone che mi sono molto vicine e, per alcuni aspetti, da me stesso. Scrivere questa storia è stata una vera avventura… anche psicoanalitica”. Un plauso al regista è arrivato anche direttamente da Fanny Ardant che di lui ha così parlato alla Festa del cinema in occasione della presentazione de La Belle Époque: