Gli occhi li riconosci subito, e infatti spiccano un po’ dalla perfetta rappresentazione, o ricostruzione, di Bettino Craxi che sembra proprio lui in carne ed ossa: identico all’originale, stessa testa rotonda, collo un po’ rigonfio, labbra carnose, identico modo di parlare, di respirare e sospirare, di girare lo sguardo. Ed è a dir poco sorprendente e anche un po’ inquietante, perché lo sai che dentro, là dentro, c’è Pierfrancesco Favino. La sorprendente trasformazione estetica è opera di Andrea Leanza e Federica Castelli, che sono stati bravissimi e hanno davvero fatto un lavoro incredibile, ma mai quanto quello di Favino che, oltre alla pazienza di ore e ore giornaliere di trucco, ci ha messo del suo. Perché è vero che, come dice lui stesso, il trucco aiuta a entrare nella parte, ma mica tutti sarebbero capaci di tanto: ci vuole una certa predisposizione all’empatia, alla condivisione del pensiero altrui, alla comprensione dell’altro, e non è una cosa che si impara in quattro e quattr’otto. Ed è certo per questa sua dote innata, di uomo e non solo di attore, che Bellocchio lo ha voluto per interpretare il lato più intimo e umano di Buscetta ne Il Traditore e ora Gianni Amelio lo ha preteso per fare la stessa cosa con l’ex segretario socialista ed ex presidente del consiglio Bettino Craxi, raccontato nel suo ultimo periodo, nei suoi giorni più oscuri, quelli della sua decadenza, quelli dell’esilio ad Hammamet per sfuggire all’arresto dopo la condanna per corruzione e di finanziamento illecito al partito. E se qualcuno avesse avuto ancora un dubbio sulla professionalità e sulla bravura di Pierfrancesco Favino, vada a vedere Hammamet, in sala dal 9 gennaio, e non ne avrà più alcuno.
Che poi il film di Amelio piaccia o meno, è un’altra storia. Ma affinché non si cada in errore, che sarebbe davvero un peccato, diciamo subito che Hammamet non è un film politico, non nel senso, quanto meno, di tirare l’acqua al proprio mulino o di screditare qualcuno. E non è neanche un biopic nel senso più classico del termine: non racconta la vita di Craxi, cerca invece di tracciarne la parabola discendente – che è anche fisica – attraverso i suoi pensieri, sentimenti, debolezze, portando alla luce il suo rapporto con i figli, con la moglie, con l’amante, cui dobbiamo un cameo nel film di Claudia Gerini, cona la sua malattia. Hammamet è un film difficile, strano, non si pensi a Loro di Sorrentino o a serie TV come 1992 e i suoi sequel: Hammamet è un film quasi onirico in cui le impressioni a caldo e le licenze poetiche, ma chiamiamole pure invenzioni, fantasie e supposizioni, tirano il carro della storia che diventa pura creazione.
Così come Pierfrancesco Favino nell’interpretare Bettino Craxi, Gianni Amelio mette del suo nel raccontare l’uomo nel suo rapporto con i figli, con sé stesso, con i sensi – forse – di colpa, certo con la paura, forte almeno quanto il desiderio proibito di rientrare nel suo paese e nella sua città, Milano. Non c’è presa di posizione netta, solo il desiderio di restituire umanità, e magari memoria, ad un personaggio controverso, che pure tanto ha fatto per l’Italia, a vent’anni esatti dalla sua morte. Più immaginazione che realtà, tanto che la storia si tinge di giallo, o di nero forse, con personaggi chiave di ogni thriller o tragedia: il sovrano che ha perso il potere, il legame dei figli, l’antagonista che qui prende le sembianze di Luca Filippi che interpreta Fausto, un ragazzo misterioso che vuole vendicare il padre. Forse. Uno dei pochi nomi, oltre a quello fittizio della figlia che qui si chiama Anita (omaggio ad Anita Garibaldi ci fa sapere Amelio), interpretata da Livia Rossi. Altri nomi non ce ne sono, “a che servono?”, dice ancora il regista, neanche il protagonista viene mai chiamato per nome e per tutto il tempo del film e dell’incontro stampa resta “il presidente”. Non un film dunque Hammamet per prendere posizione, per difendere qualcuno o attaccare altri, ma per “rappresentare comportamenti, stati d’animo, impulsi, giusti o sbagliati che fossero cercando l’evidenza e l’emozione” spiega Gianni Amelio, definendo tutto ciò come il compito del cinema. Diamo a loro la parola con la nostra videointervista a Pierfrancesco Favino e con la videosintesi della conferenza stampa con Favino e con Gianni Amelio (nel corso della quale trovate anche un intervento alquanto acceso del regista in risposta ad un collega de il Fatto Quotidiano che gli chiedeva di chiarire la sua posizione su Mani Pulite):