Un processo lungo un film. Il processo è quello a Lise, diciottenne francese accusata di aver massacrato un paio di anni prima la sua amica del cuore Flora. Il film è La ragazza con il braccialetto di Stéphane Demoustier, applaudito a Locarno, Premio César per la Miglior Sceneggiatura non originale, al cinema da giovedì 19 agosto. Tutto su svolge appunto, nell’aula del tribunale dove è in corso il dibattimento che vede imputata una ragazza taciturna, imperturbabile, assolutamente diversa da come la dipingono suo padre e sua madre, il primo sempre presente e a lei vicino, la seconda dall’atteggiamento più ambiguo, ma pur sempre a fianco della figlia. Ad ogni seduta è come se Lise perdesse uno strato di buccia: di testimonianza in testimonianza, la ragazza viene mostrata sempre più come i suoi non l’avrebbero mai immaginata. Poche le scene fuori dall’aula, per cui anche il pubblico conosce a mano mano Lise da quanto di lei si racconta e si vede in tribunale, difficile farsi un’idea sulla sua colpevolezza o sulla sua innocenza. E questo è il bello del film che poggia su qualcosa di molto attuale come la revenge porn, o meglio, la revenge per una revenge porn, visto che Flora potrebbe essere stata uccisa da Lise a causa di un video a sfondo sessuale diffuso in rete. L’atteggiamento che però colpisce di più in Lise è che più la situazione va avanti e si fa pericolosa per lei, anche per opera un giovane pubblico ministero (donna) molto determinato e assolutamente convinto della sua colpevolezza, più lei sembra voler allontanarsi dalla famiglia, dalla sua casa, e da quella che forse era prima e che non sarà mai più e, soprattutto, dal più grande ostacolo a questo suo desiderio: il braccialetto elettronico che le è stato messo alla caviglia una volta concessi gli arresti domiciliari per controllarne la posizione ed evitare una sua fuga, quello che dà il titolo al film, protagonista esattamente come Melissa Guers, la giovane e intensa attrice esordiente che dà vita a Lise (e la scena finale che non sveliamo ne è conferma), voluta dal regista proprio perchè non aveva mai fatto cinema prima d’ora. Ed esattamente come il complicato e oscuro limbo dell’adolescenza sconosciuto agli adulti e per questo a volte incompreso e osteggiato, lontano anni luce da ogni regola, ordine e moralità prestabilita. Il processo a Lise è in quakche modo anche un processo all’adolescenza stessa. Il ritmo incalzante delle deposizioni e degli interventi dei reciproci fautori di accusa e difesa, rende La ragazza con il braccialetto un film avvincente che lascia lo spettatore in continua attesa di un cenno, di un indizio, di un qualcosa che possa contribuire a formarsi un opinione, attesa che potrebbe tuttavia rivelarsi inutile quanto necessaria. “Volevo guardare questa gioventù senza giudicarla – racconta il regista – in un caso giudiziario, tutto viene esasperato e il processo funge da specchio ingranditore delle relazioni intergenerazionali. L’eroina de La ragazza con il braccialetto rappresenta per me ‘l’altro’ assoluto, poiché è donna e adolescente. Ed è per questo che ho costruito la sceneggiatura intorno al mistero che questa giovane donna rappresenta ai miei occhi. Questo è ciò che realmente mi ininteressava. Attraverso questo ritratto in costruzione volevo parlare della famiglia. Ho tre figli, molto più piccoli della mia eroina, ma ho subito notato che la questione dell”altro’ comincia già a porsi. Con chi abbiamo a che fare? Crediamo sempre di conoscere i nostri figli, ma inevitabilmente appare l’ evidenza: sono esseri auto-nomi che ci sfuggono sempre di più“.Nel ruolo dei genitori de La ragazza con il braccialetto ci sono Roschdy Zem e Chiara Mastroianni, in quello dell’appassionata pm Anaïs Demoustier, sorella del regista.
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