La spettacolarità Marvel incontra la poesia orientale. Con Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, il nuovo film targato Marvel Studios diretto da Destin Daniel Cretton e in sala dal primo settembre, nasce ufficialmente un nuovo supereroe – e sappiamo bene quanto ne abbiamo bisogno dopo i fatti di Avengers: Endgame e quanto ne hanno gli stessi Studios. Ha gli occhi a mandorla, è un maestro di arti marziali e all’occasione cavalca draghi. Anche se quando lo conosciamo a inizio film è un tranquillo parcheggiatore di auto di San Francisco con un altro nome e nessuna voglia di crescere, così come la sua amica del cuore Katy, cui dà vita un’esilarante Awkwafina (ho fatto il tifo per tutto il film affinché i due si baciassero e ovviamente non vi dico se ciò accadrà o meno…), seppure qualche inquietante flashback gli esploda ogni tanto nella testa. Ad interpretare Shang-Chi è Simu Liu, nato in Cina 32 anni fa poi naturalizzato canadese, che è non solo attore ma anche sceneggiatore e stuntman, il che in questo caso proprio non guasta. Perché Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli è un film spettacolare, divertente, ironico e coinvolgente dove l’azione, sempre spericolata e al limite del credibile, non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori del Marvel Cinematic Universe. Ma non è soltanto questo.
I Dieci Anelli del titolo sono quelli che nel 2008 in Iron Man 3 davano il nome all’organizzazione criminale capeggiata dal Mandarino. In Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli il Mandarino è Wenwu, magistralmente interpretato da Tony Leung, ovvero il padre di Shang-Chi e di sua sorella Xialing (Meng’er Zhang), un leader criminale che grazie agli anelli ha conquistato una potenza infinita e il dono dell’immortalità e che nella sua lunga vita che dura da oltre mille anni non ha fatto che accrescere la sua sete di potere. Fino a che non si innamora della splendida Jiang Nan, interpretata da Michelle Yeoh, con la quale ha i due figli e bisogna riconoscere che un solo grande amore in mille anni è davvero un indice di romanticismo notevole… Così come – raramente – accade anche nel nostro mondo, il terribile Wenwu decide quindi di cambiare vita riponendo i dieci anelli in un cassetto e dedicandosi alla famiglia. Ma il passato torna sempre a bussare alla porta e il male prima o poi ritrova la strada di casa. Ed è così anche per Shang-Chi che si ritroverà a combattere come e contro chi non avrebbe mai voluto.
Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli ci presenta dunque nei dettagli quello che ci auguriamo sarà consacrato come un vero e proprio supereroe al pari dei suoi più celebri colleghi, non solo raccontandoci la sua vita precedente, ma scavando nelle sue paure, nelle sue motivazioni e nel suo dolore. La storia è raccontata così bene che già a metà film, quando il presente prende il sopravvento, ci sembra di conoscerlo da sempre, grazie anche alla ricca sceneggiatura firmata dallo stesso Cretton assieme a David Callaham e Andrew Lanham. Ed è proprio qui la bellezza del film, cioè che tra le pieghe dell’avvincente storia emergono sentimenti forti, conflitti interiori e contrasti emotivi, legami di sangue che sembrano indissolubili e di amicizia che lo sono per davvero, degni di un racconto epico. Ma a colpirmi ancora di più è stata quella perfetta sintonia di cui parlavo all’inizio, e cioè tra la spettacolarità Marvel – soprattutto nei combattimenti notturni sull’impalcatura di un grattacielo o in un autobus in corsa senza freni – e la poesia orientale che nel film si svela nei paesaggi fiabeschi del mondo di Ta-Lo dove Wenwu incontra per la prima volta l’amata Jiang Nan, perdendosi in lei nel corso di un magnifico combattimento danzante che lascia senza fiato. E poi draghi di fuoco, mostri volanti divora- anime, leoni giganti, porcipolli e un bel po’ di risate. Soprattutto con il cameo di Ben Kingsley che torna ad interpretare l’attore che interpretava il Mandarino…