“A noi non piace il destino perché il destino è il contrario della libertà” dice Testacalda ai suoi ragazzi. Testacalda è un leader, non ci sono dubbi, il leader di un mondo oscuro e violento dove nulla è rimasto e quel poco che c’è bisogna prenderselo, per poi riprendersi pure tutto il resto. Con Mondocane, audace opera prima dello sceneggiatore e regista di corti italo canadese Alessandro Celli, Alessandro Borghi torna alle origini, quelle di Suburra per intenderci che, grazie all’interpretazione di un Aureliano/Numero 8 spietato quanto ambiguo, lo ha consacrato tra i più grandi attori di questa era cinematografica e televisiva. Testacalda però è anche più terrificante con il suo esercito di bimbi sperduti trasformati in piccole ma letali macchine di morte, un esercito di non più innocenti, orfani strappati alla loro età e privati di ogni diritto all’infanzia e all’adolescenza. Anche se in fondo Testacalda non fa che pescare nel torbido. E poi non è mica lui che li va a cercare, sono piuttosto loro, piccole anime perdute, che alla ricerca del loro posto nel mondo e di un qualcosa cui appartenere e di cui far parte, riescono a intrufolarsi sotto le sue ali di corvo malvagio, ma paradossalmente capace, come spesso sono i mostri, di gesti umani e generosi da tenere ben nascosti. Dentro, un rancore immenso che non gli permette di abbandonarsi al destino in nome di una libertà da riconquistare, come farlo poi, è tutta un’altra storia. Così come tanti altri ragazzini, anche Mondocane e Pisciasotto, i cui veri nomi sono Pietro e Christian, riescono ad entrare nelle Formiche, la sua grande comunità criminale che, proprio come i previdenti insetti eusociali, si nasconde nei buchi del mondo e sottoterra e alacremente lavora senza sosta per mettere da parte ciò che serve per fare la guerra. I due sono grandi amici da sempre, uniti da un destino infame cui cercano di riscattarsi, e lo fanno insieme, finché possono, finché la vita che li ha già resi aspri e duri non li metterà inevitabilmente l’uno contro l’altro.
Siamo nel futuro, non quello luccicante dei film di fantascienza con le macchine volanti, ma in quello distopico di una città sporca e pericolosa, abbandonata per lasciare il posto a un altro grande mostro che uccideva le persone. Ed è ovviamente Taranto con la sua Ilva sputa veleni la città fantasma di Mondocane, decadente e vuota, dove non c’è futuro per nessuno, perché quelli che lo avevano se ne sono andati tutti. Un’atmosfera che potrebbe ricordare quella della Sicilia apocalittica della Anna di Ammaniti, ma lì ci sono solo bambini perché chi diventa grande muore, qui invece ci sono i grandi e i bambini muoiono prima di crescere, come su un’isola che non c’è dell’orrore. Un fuori tuttavia, oltre il filo spinato, esiste: la Taranto Nuova, quella dei ricchi, degli stabilimenti balneari e delle belle ragazze in costume, dove però se sei una Formica non puoi andare, e se vai rischi di non tornare. Bravissimi Dennis Protopapa e Giuliano Soprano, i due ragazzi che interpretano i giovani protagonisti, così come Ludovica Nasti che dà vita alla dolce Sabrina, bimba sperduta anche lei, prigioniera della fabbrica di acciaio adibita a orfanotrofio dove i ragazzini lavorano come muli. Ruolo importante e meritato anche per Barbara Ronchi, qui poliziotta temeraria e onesta che poco o nulla può nell’universo oscuro di Mondocane. Eppure qualcuno si salverà, ma ad un prezzo molto alto anche per un piccolo eroe. Un monito profondo su cui riflettere: stiamo rischiando tanto, possiamo permetterci di rischiare ancora? Prodotto dalla Groenlandia di Matteo Rovere con Minerva e Rai Cinema, Mondocane è stato presentato oggi in concorso nella sezione della Settimana della Critica a Venezia 78 e da domani, venerdì 3 settembre, è al cinema. Andatelo a vedere.