Atmosfere oniriche, dialoghi surreali, battute ironiche. Il Don Chisciotte di Alessio Boni è uno spettacolo affascinante, a tratti piacevolmente naif nella scenografia, ma in grado di rendere l’improbabile così realistico da sentirsi dentro la storia. E la favola. A cominciare da un cavallo, il celebre Ronzinante, cui manca davvero soltanto la parola. Alessio Boni ne cura la regia, collabora alla drammaturgia e regge il palcoscenico per oltre due ore nel ruolo del protagonista, nobile spagnolo talmente appassionato e ossessionato dalle gesta cavalleresche degli eroi dei suoi libri da trasformarsi egli stesso in un cavaliere errante pronto a difendere i deboli e le vittime di ingiustizie. In realtà, piuttosto a combattere contro i famosi mulini a vento e a fare strage di poveri greggi innocenti scambiati i primi per mostri giganti, i secondi per pericolosi eserciti arabi. Tutta colpa del demone Sacripante che tramuta persone e cose per portarlo alla follia, tanto che non riesce nemmeno a vedere più la bellezza della sua amata (e inesistente) Dulcinea né ad ascoltarne le parole d’amore che pronuncia per lui. Al suo fianco, un Sancho Panza a dir poco originale interpretato da Serra Ylmaz, l’attrice turca musa di Ferzan Ozpetek. Con loro in scena Marcello Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, Elena Nico e Biagio Iacovelli.
Liberamente ispirato al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte, in scena all’Ambra Jovinelli di Roma fino al 27 marzo, adattato da Francesco Niccolini e diretto, come detto, da Alessio Boni con Roberto Aldorasi, Marcello Prayer con i quali è anche autore della drammaturgia, riporta sul palcoscenico, in una nuova veste, la celebrazione degli eroi incompresi, quelli che lottano sì contro mostri e nemici immaginari, ma soprattutto contro rigidità e convenzioni sociali con l’arma del sogno e della fantasia, tanto da essere definiti pazzi.
“Chi è pazzo? Chi è normale? – si chiede Alessio Boni – Forse chi vive nella sua lucida follia riesce ancora a compiere atti eroici. Di più: forse ci vuole una qualche forma di follia, ancor più che il coraggio, per compiere atti eroici. La lucida follia è quella che ti permette di sospendere, per un eterno istante, il senso del limite: quel ‘so che dobbiamo morire’ che spoglia di senso il quotidiano umano, ma che solo ci rende umani. L’animale non sa che dovrà morire: in ogni istante è o vita o morte. L’uomo lo sa ed è, in ogni istante, vita e morte insieme. Emblematico in questo è Amleto, coevo di Don Chisciotte, che si chiede: chi vorrebbe faticare, soffrire, lavorare indegnamente, assistere all’insolenza dei potenti, alle premiazioni degli indegni sui meritevoli, se tanto la fine è morire? Don Chisciotte va oltre: trascende questa consapevolezza e combatte per un ideale etico, eroico. Un ideale che arricchisce di valore ogni gesto quotidiano. E che, involontariamente, l’ha reso immortale. È forse folle tutto ciò? È meglio vivere a testa bassa, inseriti in un contesto che ci precede e ci forma, in una rete di regole pre-determinate che, a loro volta, ci determinano? Gli uomini che, nel corso dei secoli, hanno osato svincolarsi da questa rete – avvalendosi del sogno, della fantasia, dell’immaginazione – sono stati spesso considerati pazzi. Salvo poi venir riabilitati dalla Storia stessa. Dopotutto, sono proprio coloro che sono folli abbastanza da credere nella loro visione del mondo, da andare controcorrente, da ribaltare il tavolo, che meritano di essere ricordati in eterno: tra gli altri, Galileo, Leonardo, Mozart, Che Guevara, Mandela, Madre Teresa, Steve Jobs e, perché no, Don Chisciotte“. Ecco gli applausi di fine spettacolo alla prima romana di Don Chisciotte sul palcoscenico dell’Ambra Jovinelli:
Ph Lucia De Luise