Troppo commerciale per i produttori indipendenti, troppo poco per le grandi major. Abbandonare le velleità artistiche? No, caricarsi “il pianoforte sulle spalle” e fare tutto da solo, da buon artigiano della musica, come ama definirsi. A 32 anni il bolognese Federico Giova mette in pista l’agonismo ereditato dal papà Luciano, due volte olimpionico di tiro a volo negli anni ’80, e l’innata passione della musica alimentata durante l’adolescenza sull’Appennino bolognese. Un mix che regala un pop dal sound internazionale lanciato in questi giorni dal singolo Summer, con la partecipazione del rapper statunitense Jazze Pha come era stato per il suo primo singolo Fraizi, e accompagnato da un video glamour, protagonista la modella lettone Julia Lescova (guarda il video a fine intervista)
“Mi aspettavo una partenza più lenta di Summer che invece sta andando meglio di quanto pensassi – dice sorpreso Federico – nonostante siamo in piena estate le radio medio piccole stanno accogliendo molto bene il brano”.
Al successo del brano sta contribuendo anche il video, che ha già superato le 50mila visualizzazioni. È parte integrante del tuo progetto come era avvenuto con Fraizi…
Si, anche se è forse l’aspetto più difficile per una produzione totalmente indipendente come la mia. Se anche radiofonicamente c’è un pezzo che può competere con le produzioni più grosse, l’esigenza è quella di avere un video altrettanto giusto. Da qui la scelta di farne tre, questo è il secondo. Sono fondamentali, con l’avvento dei video è cambiato il modo di imporsi e fare musica. Anche se oggi siamo passati dal “video killed the radio star” al “talent killed the video star”…
Cosa non ti piace dei talent?
I talent in sé non sono un problema. Non li abbiamo inventati noi, ma sia negli Stati Uniti che in Inghilterra non si sono completamente sostituiti alla discografia, continuano ad esserci spazi per nuovi artisti e nuovi progetti non legati ai talent. Da noi invece, negli ultimi dieci anni, si sono imposti o sono stati imposti nomi tutti provenienti dai talent. Io non credo che l’unica cosa che un giovane che ha voglia di fare musica possa fare sia mettersi in fila in mezzo a decine di migliaia di persone per i provini di XFactor o Amici, ma purtroppo la realtà televisiva si è sovrapposta completamente alla discografia e passa il messaggio che solo con i talent si può emergere. Altra conseguenza è che un artista sia considerato vecchio in maniera precoce, sei emergente solo se hai tra i 16 e i 20 anni.
In questo panorama ti sei lanciato nel tuo progetto, con una bella dose di incoscienza
Sì, è veramente un’impresa titanica. Da anni pensavo a un progetto in italiano con un sound internazionale, nato in Italia e per l’Italia. A lavori in corso ho provato a proporlo alle varie major, con il risultato di quasi un anno di impasse: è faticoso avere udienza, nessuno ti dice mai di no. Alla fine la considerazione generale è stata quella che non avrebbe avuto senso investire su un progetto come il mio quando ce ne sono tanti già ampiamente promossi e pompati in TV dalla partecipazione ai talent.
Potevi rivolgerti a produttori indipendenti
Fatto, ma ho avuto altre difficoltà. Per quell’ambiente la mia proposta è troppo commerciale. Io faccio pop, con dentro tante sfumature diverse ma è musica pop, troppo patinata per appartenere al panorama indipendente.
La soluzione è stata fare tutto da solo?
Sì, sono produttore, autore, arrangiatore, diciamo che ho una figura anomala. Ho fatto un vero e proprio investimento su me stesso, a volte mi viene la febbre a 40 pensando a quanto ho messo in gioco.
La voglia di rischiare e lo spirito competitivo li hai ereditati da tuo padre? Lui è un’icona del tiro a volo azzurro, due volte campione olimpico…
Sicuramente il suo esempio mi ha insegnato a puntare sempre al massimo di quello che posso fare. L’obiettivo è migliorarsi sempre, in competizione con se stessi.
Tu col tiro a volo come te la cavi?
Ho provato, ovviamente. Da piccolo passavo le domeniche a raccogliere bossoli e cartucce sui campi di tiro giocando come fossero soldatini. Ho imbracciato il fucile presto e mi piaceva, ma se li prendevo tutti era normale perché ero il figlio di Giovannetti, se ne sbagliavo due c’era qualcosa che non andava perché ero il figlio di Giovannetti. Il peso era troppo grande, ho lasciato il fucile e imbracciato la chitarra.
A che età hai scoperto la vena artistica?
La passione per la musica è iniziata da piccolo, ho cominciato a suonare la fisarmonica e poi tutti gli altri strumenti. Quello preferito era il pianoforte, ma ho scelto la chitarra perché la potevo portare con me. Ho iniziato in un paese dell’Appennino, in provincia di Bologna, con le prime band verso i 13 anni. Ognuno portava un pezzo del suo gusto musicale, le cover erano quelle di Vasco, Ligabue, Guccini, Modena City Ramblers. Con il passare degli anni ho dato sfogo alle passioni musicali: dalle atmosfere da night club anni ’60, ho rifatto i pezzi di Califano, Bongusto, Peppino Di Capri, Bruno Martino, all’R & B, da Otis Redding a Nino Ferrer.
E oggi hai il tuo progetto personale che curi dal primo all’ultimo dettaglio. Quale ruolo ti piace di più?
Mi sento più produttore e autore che cantante, ma le vedo tutte come figure che possono unirsi in quella dell’artigiano della musica, con le canzoni costruite a mano che danno soddisfazione proprio nella loro creazione, dalla prima idea a quando puoi ascoltarle.
Come continuerà la tua estate?
In controtendenza. Non ho in programma concerti, per ora mi concentro sulla promozione non dico con il porta a porta, ma quasi. Ho rimandato le prime cose live all’uscita dell’album prevista tra ottobre e novembre.