All’Open Day della Cantina Pomario con i vini biologici dai nomi di monti e di uccelli

di Patrizia Simonetti

La splendida Villa Spalletti Trivelli a Roma, dimora storica davanti ai Giardini del Quirinale, ci ha aperto le porte per l’Open Day della Cantina Pomario e, in particolare, per la verticale dedicata ad Arale, l’ottimo Trebbiano macerato dell’etichetta umbra che da sempre produce esclusivamente vino biologico valorizzando le peculiarità del territorio. I suoi vini sono dunque unici, freschi e di un’eleganza sobria e condivisa, e degustarli tra gli antichi mobili in legno, i preziosi tappeti e gli arazzi, le foto e le cornici, i libri e le lampade delle grandi sale di quello che dal 2004 è qualcosa di più di un lussuoso Hotel a 5 stelle, è stata una doppia e suggestiva esperienza.

I vini buoni sono tantissimi, noi cerchiamo di dare ai nostri vini personalità, legando la produzione ad un filo conduttore che parla di questo territorio. Amiamo questo posto e vogliamo che i nostri prodotti trasmettano l’amore per questa terra” spiega Giangiacomo Spalletti Trivelli, titolare della Cantina Pomario di Piegaro, nel perugino, dei vigneti che si godono la vita in ampie radure circondate e protette dal bosco, e anche degli uliveti, nonché responsabile della trasformazione della Villa di famiglia romana nell’esclusiva residenza di lusso per ospiti selezionati. Una degustazione evento che abbiamo particolarmente apprezzato già prima di cominciare, sia per la produzione biologica attenta all’ambiente che per l’amore del territorio e di ogni suo essere vivente, che diventano protagonisti con i loro nomi dati ad ogni vino.

Siamo partiti dall’Arale Bianco, dal nome del monte che guarda alla vigna cinquantenaria di Trebbiano e Malvasia, con un excursus in verticale che è iniziato dall’annata 2015, vino fruttato e speziato al naso e un leggera opacità nel colore che ci ha sorpreso per l’impatto deciso e forte e il gusto sapido, anzi, inizialmente ci ha spiazzato facendoci preferire le successive annate 2016, 2017 e 2019 dal gusto più fresco e delicato e una limpidezza da bianco tradizionale, ma che poi ci è mancato e abbiamo deciso di tornare a baciarlo, nonostante il suo carattere un po’ burbero e selvatico dovuto, secondo quanto ci hanno raccontato, da una particolare condizione climatica, grandinata sulle vigne inclusa.

“L’Arale è un vino che viene fatto con macerazione sulle bucce, quindi la pima parte della vinificazione è identica a quella di un vino rosso – ci ha spiegato l’agronoma della Cantina Pomario Federica De Santiscioè il mosto e le bucce rimangono insieme in una vasca che viene tenuta a temperature basse in modo che non parta la lievitazione, finché non lasciamo la temperatura. Allora partono i lieviti, il cappello, cioè le bucce, inizia a salire, e quando il cappello è salito, sviniamo, senza pressare forte, e mettiamo il mosto fiore nelle barrique. Tutti i giorni facciamo il batonnage, che è il movimento delle barrique in modo che i lieviti rimangano sempre in sospensione e non depongano, portando odori sgradevoli. Procede quindi con la sua fermentazione molto lentamente, per circa due mesi, durante i quali lo lasciamo comunque a contatto con le fecce che cedono sapori di crosta di pane e lievito. Poi viene travasato, ritenuto in barrique per altri due mesi e imbottigliato con pochissimo filtraggio, seguendo sempre le fasi lunari, imbottigliando e travasando il vino a luna calante per cui rimane pulito senza essere trattato con prodotti chimici, cerando di mantenere il percorso naturale del prodotto”.

L’ultimo Arale, più giovane, lo abbiamo incontrato nella sala adiacente, chiudendo il cerchio con l’annata 2023: degno dei suoi fratelli maggiori in quanto a freschezza, colore dorato e profumo di agrumi. Mentre l’ultimo bianco gustato è stato il Batticoda, Grechetto e bacca bianca, con il nome ispirato alla Ballerina Bianca, il passero bianco e nero dalla lunga coda che sembra danzare tra i campi in livrea: note di fiori di bosco, vino secco, anche questo chiuso in bottiglia senza filtri, perfetto per i miei piatti vegetariani.

Ed eccoci ad un altro vino giovane, il Rondirose, rosato di Pomario, annata 2024, anche il suo nome ha ispirazioni aviarie, si rifà infatti alle rondini che volano sulla tenuta: uve Merlot e Sangiovese, e poche di Ciliegiolo, raccolte, ci spiegano, alle prime ore del giorno, messe in pressa e poi a macerare per qualche ora, colore controllato e imbottigliato con pochi filtraggi dopo la fermentazione in acciaio: fresco, sapido, con profumo di fiori rosa fiori di pesco, canterebbe Battisti.

Dal rosa ai rossi con Radura, il nuovo cru di Pomario con i suoi vitigni recenti in mezzo al bosco di Malvasia nera e Alicante; Ciliegiolo, rosso e viola, fruttato di bosco e sapido; Sariano, Sangiovese in purezza; e Rubicola, ovvero pettirosso, uve di Sangiovese e Merlot.

Per chiudere con il più atteso, secondo i miei gusti personali ormai noti: il dolce Muffato delle Streghe 2021 della Cantina Pomario, un’ode al vino liquoroso voluto dalle donne, a cominciare dalla contessa Susanna d’Inzeo, con il sostegno dello staff femminile dell’azienda, ovvero le Streghe di Pomario, e cioè l’enologa Mery Ferrara e l’agronoma Federica De Santis, nettare alcolico è la sua giusta definizione: ottenuto grazie alla muffa nobile, la Botrytis Cinerea, che cresce nel vigneto di Riesling e Sauvignon Blanc impiantato nel 2010, e che da allora scende a grandi passi verso il bosco, avvolto da un’atmosfera stregata quando la nebbia del mattino avvolge le sue terrazze.

Un assaggio, infine, che non poteva mancare, quello dell’Olio extravergine d’oliva, ovviamente rigorosamente biologico: forte, quasi piccante, che sa di buono.