The Hateful Eight, Tarantino a Roma a presentare il suo ottavo film. Il video

di Patrizia Simonetti

Dimenticate i magnifici sette, adesso è il momento degli odiosi otto

, ovvero The Hateful Eight, ottavo film di Quentin Tarantino da lui scritto, diretto e diviso in 6 capitoli, tre nomination all’Oscar, una delle quali per la colonna sonora di Ennio Morricone, da giovedì 4 febbraio in 600 sale distribuito dalla Leone Film Group fondata dal grande Sergio con Rai Cinema e 01. Otto personaggi da non incontrare mai e stavolta tra loro nessun eroe ma “solo un mucchio di cattivi ragazzi in una stanza a raccontare il loro passato, che potrebbe o meno essere vero” dice Tarantino, che definisce The Hateful Eight una sorta di Le Iene in versione western.

C’è un grande crocifisso di legno coperto di neve: sta lì, in mezzo al nulla del bianco Wyoming del 1868-69, più o meno, la guerra civile è finita già da qualche anno, la schiavitù è stata abolita ma il razzismo ancora impera. La camera allarga e nella carrozza guidata da O.B. (James Parks) e rincorsa dalla tempesta di neve c’è John Ruth (Kurt Russell), un cacciatore di taglie detto Il Boia, ammanettato a una donna sboccata con un occhio nero che è Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) che ne prenderà di gomitate e pugni in faccia prima di arrivare, semmai ci arriverà, a Red Rock dove sarà impiccata perché è un’assassina sulla quale pende una taglia di ben 10mila dollari. Il primo autostoppista è negro e già si comincia male, neanche la prigioniera risparmia battute e insulti, però i due, il negro e il boia, avevano mangiato una bistecca insieme otto mesi prima e poi il maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), questo il suo nome, ha una lettera autentica che gli ha mandato Lincoln in persona, anche se poi Daisy ci sputa sopra, per cui alla fine può salire. Il secondo autostoppista urla come un matto e siamo già al secondo capitolo quando John riconosce quel “figlio d’un cane” nel figlio Chris dei saccheggiatori Mannix (Walton Goggins) ma quello gli confonde le idee perchè “sono il nuovo sceriffo di Red Rock” gli dice e se non sarà a Red Rock quando lui arriverà con la ragazza da impiccare, chi gli pagherà i 10mila? Così alla fine pure lui può salire. L’allegra brigata, tra sputi, manette e pugni in faccia, arriva al capitolo 3, e pure alla merceria di Minnie, una specie di emporio in mezzo alla neve che se serve fa da rifugio, c’è pure lo stufato sul fuoco, solo che Minnie non c’è e neanche Sweet Dave, così li accoglie Bob (Demian Bichir) che è messicano, e già questo a Warren gli puzza perché Minnie i messicani li odia e perché mai dunque ne avrebbe messo uno a sostituirla mentre è via dalla madre? La tempesta intanto è arrivata e dentro ci sono dei tizi che urlano che la porta da fuori va aperta a calci e poi una volta dentro inchiodata, non con un pezzo di legno ma due, sennò il vento la riapre, e così ogni volta che uno esce o entra. I tizi dentro sono il boia (un altro) Oswaldo Mobray (Tim Roth), che sta andando a Red Rock per impiccare l’uomo che ha ammazzato l’altro sceriffo e che intraprenderà presto un assurdo discorso con John e Daisy sulla giustizia e l’auto-giustizia; un cow boy di nome Joe Gage (Michael Madsen) che sta scrivendo la storia della sua vita e sta andando dalla madre che “il Natale con la mamma è una cosa meravigliosa” dice. E poi c’è un vecchio, che “tagliatemi le gambe e chiamatemi nanetto!” urla Chris nel riconoscere in lui il generale Sanford Smiters (Bruce Dern) detto me ne frego, e anche Warren lo riconosce quel “sanguinario assassino di negri di Batan Rouge” e gli rivela lui che fine ha fatto il suo figlio scomparso. E poi c’è anche Jody (Channing Tatum) ma non si vede ancora e non vi diciamo certo perché.

Quanto ci metteranno ad esplodere, quanto dovrà alzarsi la pressione tra rivelazioni, bugie, sospetti e imprevisti, quanto ci vorrà prima che comincino a spararsi spappolandosi facce e testicoli, a staccarsi braccia e a vomitare sangue? Un bel po’, stavolta Tarantino se l’è presa comoda prima di arrivare al capitolo 4 che comincia a spiegare qualcosa e poi al 5 che è tutto un flashback, fino all’ultimo che è pura rivelazione e finale di morte. Gli abbiamo chiesto il perché all’incontro di oggi a Roma:

Ad accomunare invece The Hateful Eight ai suoi precedenti lavori il fatto che nessuno, o quasi, è alla fine chi dice di essere: “in tutti i miei film, forse ad eccezione solo di Pulp Fiction, c’è sempre qualcuno che non è chi dice di essere – risponde Tarantino – ma non lo so perché, è un elemento che mi piace e che fa capolino in tutti gli scenari che dipingo e poi lavoro sempre con ottimi attori e mi piace metterli alla prova. Infine, tre le nomination all’Oscar per The Hateful Eigth, ma non c’è quella per Samuel L. Jackson… “Mi dispiace molto che Samuel non abbia avuto la candidatura perché secondo me la meritava – ammette il pulp regista –  soprattutto in questo film”. E stasera l’anteprima a Cinecittà.