Ci aveva già incantato al Concerto del Primo Maggio, in occasione del quale l’avevamo incontrata e avevamo parlato con lei della sua musica e della sua passione per Bruno Lauzi. Ed ecco che ieri sera al Roma Summer Fest, alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, dove Aurora è tornata a distanza di un anno, un ragazzo dal parterre davanti al palco le regala una maglietta con la faccia di Lauzi e lei felice ringrazia, intonando, e provando a farlo assieme al pubblico, la sua canzone preferita del suo cantante preferito, quella malinconica e indimenticabile Ritornerai che, in realtà, conosce meglio lei dei suoi giovani fan.
Aurora ci aveva dunque stregato a maggio, e ci ha completamente rapiti ieri sera con un concerto che l’ha vista partire lenta e sognante con il breve intro senza parole Forbidden Fruits of Eden, traccia d’apertura del suo terzo e ultimo album The Gods We Can Touch uscito ormai da un anno e mezzo, a toccare il peccato e il desiderio: “Chiediamo perdono per i nostri istinti e desideri, per la nostra natura, quando in realtà siamo perfetti così come siamo” dice Aurora del suo disco che “celebra tutto ciò di cui non dovremmo mai vergognarci”. In tema la successiva Heathens, segue A different kind of human, title track del suo secondo album (Step 2) dedicato alla crisi ecologica, alla condanna del capitalismo e all’accoglienza di differenti sonorità folk.
Il ritmo comincia poi a salire con All is soft inside e Queendom, per rallentare di nuovo con l’eterea Through the eyes of a child, la romantica A potion for love e l’assoluta Exist for love dove l’amore vince su tutto, sulla guerra tra uomini e donne e sul dolore, come una potente onda oceanica. Aurora la canta con Rosy, una fan che aiuta a salire sul palco, una ragazza che in qualche modo le somiglia, dolce e un po’ eterea, con una voce che non si dovrebbe scordare e che segue di pari passo quella della star che poi, generosamente e sorprendentemente, la lascia andare da sola. Rosy non se la scorderà questa serata, e probabilmente nessuno di noi che eravamo lì ad ascoltare e a vedere una giovane artista norvegese di grande talento, che sorprende ed emoziona, che con la sua musica rara e rarefatta racconta il suo mondo, ci parla del nostro e anche di lei, ci invita a scegliere un modo migliore per vivere, ci sprona ad amare, ci spinge a credere che c’è ancora speranza e che cambiare si può, ci ammonisce a pensarci, prima che sia troppo tardi. E arrivano Runaway, Churchyard, e The seed: ricordate la storica frase di Toro Seduto all’inizio del video: “quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo pesce catturato, l’ultimo fiume avvelenato, solo allora ci renderemo conto che non possiamo mangiare il denaro”?
Ci si avvia – peccato – al gran finale con Running with the wolves, la scatenata Cure for me e il bis, super richiesto, con Daydreamer. I suoni e le luci che vanno d’accordo, uno sfondo luminoso e tondo a evocare un portale dal colore acceso dal quale potrebbe essere arrivata a noi da un altro pianeta o da un mondo parallelo quella creatura saggia e pazza al tempo stesso, con le sue risate quando scorda le parole delle canzoni, i suoi mille grazie mille, le sue scrollate di testa e quel caschetto platino a frangetta che torna sempre perfettamente al suo posto come quello della Carrà, quel suo modo di ballare che solo lei e quel vestito bianco panna, lungo e sbuffante e con le maniche a farfalla, che sembra sempre quello, ma va benissimo così. E le atmosfere oniriche unite al suo modo assolutamente unico di muoversi ed esprimersi con il corpo, ora quasi aleggiando sul palco, lieve ed eterea come una piccola fata, ora appassionata e potente come la più determinata e lungimirante delle sciamane, ci trascinano e ipnotizzano proprio come la sua voce attira Elsa nella foresta di Frozen.
Sono due le ultime occasioni di vedere a breve Aurora in Italia: stasera è al Pala De Andrè di Ravenna per il Ravenna Festival, domani all’Arena di Forlì, poi se ne torna in Norvegia per il suo tour in casa. A Roma Summer Fest, tra gli altri, arrivano invece James Bay, poi Gigi D’Alessio, Bob Dylan, Baustelle e Sting. (Foto di Angelo Costanzo)