Chissà se per il peso della responsabilità di essere Butterfly, la prima donna pugile italiana partecipare alle Olimpiadi avendo, peraltro, solo 18 anni, e venendo da una città difficile come Torre Annunziata; o se semplicemente perché non era pronta per una tale impresa come candidamente e umilmente dichiara lei stessa. Fatto sta che dopo tanti sacrifici Irma Testa si lascia battere a Rio 2016 dall’avversaria francese e non porta a casa nessuna medaglia. Facile raccontare di vittorie e successi, come la medaglia d’oro appena conquistata agli Europei di boxe Under 22 in Russia, lei invece ha deciso di mostrare la sua sconfitta, che però l’ha resa più forte e determinata di prima. Butterfly, così la chiamano nel mondo della boxe, è anche il titolo del docufilm in anteprima mercoledì 3 aprile al Nuovo Cinema Aquila di Roma – tra i beni confiscati alla mafia e rivalorizzati – e da giovedì 4 aprile nelle altre sale italiane, diretto da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, entrambi al loro secondo lungometraggio, che le hanno praticamente piazzato una telecamera alle spalle riprendendo la sua vita che per molto, forse troppo tempo, la giovane campionessa di boxe ha vissuto esclusivamente sul ring. “Uno dei sacrifici più grandi è stato abbandonare la mia adolescenza, mettere da parte la mia crescita personale per approfondire e maturare quella da atleta – ci racconta Irma Testa nella nostra videointervista – sacrifici che poi sono andati persi, ma questo era un rischio da pagare e sono contenta di averlo pagato fatto perché adesso mi sento più matura e più forte”.
Una passione, quella della boxe, che Irma Testa ha coltivato sin da ragazzina, contagiata dalla sorella che poi invece ha abbandonato. In tanti le chiedevano “ma perché non la danza?” ma per lei era chiaro che il suo futuro sarebbe stato in guantoni tra le corde: “la mancanza di fiato è quella sensazione che ti manca quando sei lontana dal ring e dalle corde dove non vorresti mai stare, poi però non ne puoi fare a meno – ci dice – quando c’è la passione c’è tutto, e se ne puoi fare la tua professione sei fortunata, l’importante è coltivarla sempre perché se sul fuoco ci metti l’acqua, il fuoco si spegne, ma finché è viva io mi sento viva”.
Dopo la sconfitta di Rio tuttavia, la determinazione di Irma vacilla: ha problemi in casa, con suo fratello e con sua madre che ha cresciuto i suoi figli da sola, ha problemi anche con sé stessa, le sembra di non voler più combattere, che ha perso troppo dei suoi 18 anni, così si mette in standby: recupera gli amici, si inventa un viaggio che non farà mai, si riprende un po’ di sé. Poi però, quella sensazione quando ti manca il fiato… a sostenerla sempre è il suo maestro e allenatore Lucio, un amico, quasi un padre per lei che un padre non ce l’ha, un confidente e un consigliere sincero che ci sarà sempre. Perché le persone intorno a te sono importanti: “Lucio è stato l’unico a starmi vicino e a volere che tutti gli altri mi circondassero di nuovo – ci rivela Irma – una persona splendida e tutti dovrebbero avere una persona come lui nella vita”.
Butterfly è più un film che un documentario, anche se i personaggi sono quelli veri, da Irma naturalmente a sua madre, suo fratello e pure Lucio, gli amici e la città, ma te lo godi come un bel racconto di formazione, parteggi per la protagonista e tifi per lei pur sapendo già come andrà a finire. Ma parteggi anche e soprattutto per quella sua forza che non tutti hanno e che invece dovremmo tutti tirar fuori da noi stessi, quella di ricominciare nonostante gli errori e i fallimenti, facendo in modo che siano proprio quelli ad insegnarci come andare avanti e farcela per davvero. Lei l’ha fatto e adesso punta alle Olimpiadi di Tokyo 2020. E poi, scherzandoci sopra, abbiamo scoperto anche un piano B di Irma Testa che in alcune scene di Butterfly ha dovuto un po’ ripetere la sua parte, e allora si è sentita anche un po’ attrice: “si, e devo dire che mi è piaciuto, non si sa mai…” La nostra videointervista a Irma Testa: