In Favolacce non c’è una tensione che sale come in un thriller, tutto sembra per lo più normale, per quanto normale possa essere la vita familiare ai bordi di una grande città come Roma dove non si è poveri ma neanche ricchi come forse si era sognato un tempo, con i vicini che ti sorridono davanti e sparlano di te alle spalle, un’ignoranza pigra che non sa nemmeno che non serve tagliare i capelli a tua figlia se ha i pidocchi, basta uno shampoo, ammesso che i pidocchi li abbia per davvero. Famiglie con bambini che sono figli, sorelle e fratelli, tutti in comune una sorta di disincanto che dovrebbe essere dei loro padri, sadici dentro, e delle loro madri, cieche e rassegnate. Invece spetta a loro, ai ragazzini che vanno a scuola ad imparare cose strane e pericolose da insegnanti strani e pericolosi, tocca a loro rivendicare la propria esistenza rinunciandovi via via nel tempo, obbedienti come cagnolini, sottomessi, mai ribelli, brace sotto la cenere che non si spegne ma neanche esplode, antagonista di quella rabbia repressa degli adulti che sfocia a tratti. Fino all’epilogo finale, ma anche quello in silenzio, senza rumore. Un epilogo che spiazza, la loro unica pacata ribellione.
Favolacce è l’opera seconda dopo La terra dell’abbastanza dei gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, già premiato a Berlino con l’Orso d’Argento alla sceneggiatura, che per la mancata uscita in sala per i motivi che tutti conosciamo targati Coronavirus, arriva lunedì 11 maggio su Sky Primafila Premiere, TimVision, Chili, Google Play, Infinity, CG Digital e Rakuten TV con Vision Distribution. Con Elio Germano nel ruolo di Bruno, Barbara Chichiarelli che è sua moglie Dalila, e i giovanissimi Tommaso Di Cola e Giulietta Rebeggiani che sono i loro figli Dennis e Alessia. Poi ci sono Max Malatesta e Giulia Melillo che sono Pietro e sua figlia Viola; Gabriel Montesi che è il rozzo Amelio e Justin Korovkin che è suo figlio Geremia; Ileana D’Ambra è Vilma, Lino Musella è il Professor Bernardini e Laura Borgioli è Ada.
Un cast scelto più umanamente che tecnicamente, come ci racconatano in conferenza stampa via Zoom Fabio e Damiano D’Innocenzo: “Quando scegliamo gli attori in realtà abbracciamo delle persone che sentiamo possano toccare delle corde vicine alle nostre, persone che hanno un certo modo di vivere, che non si nascondono, ti accorgi degli attori che hai sul set non quando recitano, ma quando li vedi che aspettano, mangiano, è lì che intravedi la persona e ti innamori di quella persona. Se non sono persone che stimi già sai che potrai starci tre mesi assieme”. Poi sull’aver scritto Favolacce a 19 anni e l’averlo realizzato a 32, spiegano: “Abbiamo fatto gavetta, commesso i giusti errori e incontrato maestri giusti e sbagliati, poi ci siamo trovati a metterlo in scena ed è stato naturale, il che non vuol dire facile. Quando abbiamo scritto questo film non sapevano come lo avremmo girato, stampato il copione per noi era finito”. E sulla continuità tra Favolacce e La terra dell’abbastanza… “Il fil rouge è l’abbrutimento che questo paese ha subito negli ultimi vent’anni, sono due film che mostrano figure genitoriali le cui colpe ricadono inconsciamente o meno sui figli e questo progressivo allontanarsi e distanziarsi reciproco, che è anche un distanziamento fisiologico, perché servirebbe in questo momento una vera frattura vera per ripulire alcuni vizi della società tessuti nel nostro DNA”. E allora noi chiediamo: I due protagonisti de La terra dell’abbastanza, Mirko e Manolo, avevano una durezza che in realtà era incoscienza, inconsapevolezza, stupidità… anche i personaggi di Favolacce agiscono in questo modo? “Non crediamo che siano stupidi o ignoranti o incoscienti – ci rispondono – peniamo semplicemente che nel momento storico che ci troviamo a vivere ci siano dei binari che sono più semplici da seguire e questa vita binaria che spesso porta a conseguenze disastrose l’abbiamo formata tutti noi assieme, semplicemente accumulando i nostri errori, ognuno di noi con una carica specifica, parlo anche del sistema politico che poi arriva a quello televisivo e condiziona le nostre vite anche in maniera sottile, meno diretta, ma più subdola. Come, in qualche modo, negare la nostra individualità, quella intesa in senso positivo, per cercare sempre di riuscire a sincronizzarsi con quelle che sono le regole sociali ormai cristallizzate e completamente sbagliate, che spesso sono però la risposta facile, mentre la più complicata vorrebbe dire andarsi ad interrogare veramente nel proprio animo, che è un’attività di rimozione che facciamo spessissimo. Penso che questi personaggi compiano atti non certo gradevoli e anche disumani e che lo facciamo con il culo parato perché “ lo hanno fatto già altre persone lo faccio pure io”, con questa cinicità. Infatti Favolacce si apre e si chiude con la stessa notizia, il che è un paradosso temporale voluto che tende in qualche modo a sottolineare che è tutto un ciclo e se non si interrompe, non ci sarà una fine”.
Ileana D’Ambra in Favolacce ha trovato il suo debutto cinematografico, anche se poi è finita on demand, e sul rapporto con i registi Fabio e Damiano D’Innocenzo racconta: “io non ho molti metri di paragone venendo dal teatro, per cui mi sono imbarcata in questa nuova avventura ad occhi chiusi. La prima cosa che posso dire sui registi è che non ti lasciano mai da sola, questa è stata la mia sensazione primaria: loro mi dissero che sarebbe stato un viaggio che avremmo fatto insieme, mano nella mano, e così è stato. Mi hanno dato la possibilità di prendere confidenza passo passo con un’estrema delicatezza, quella che hanno nel rapportarsi con gli attori, li trattano come diamanti. E questo vuol dire anche che non ti danno eccessive indicazioni, mai ti lasciano libera, si fidano tanto, io mi sono sentita piena di fiducia e libera”. E sulla preparazione per affrontare il complesso personaggio di Vilma, Ileana D’Ambra ha rivelato: “in realtà oltre che guardarmi intorno e cercare di osservare sempre più ciò che ho vissuto e vivo ogni giorno incontrando persone, ho chiesto una grossa mano a mia madre che si occupa di mediazione familiare, quindi di gentiori, di figli, delle relazioni che intercorrono fra loro, quindi mi sono fatta raccontare un po’ che mondo abbiamo adesso là fuori”.
Anche Gabriel Montesi (visto tra l’altro in Il primo re e che presto vedremo nella serie Romulus) si è detto entusiasta del rapporto con Fabio e Damiano D’Innocenzo: “sono delle persone prima che dei registi, non si mettono sulla cattedra, non sono autoritari o tiranni come spesso accade, sono felicissimo di aver lavorato con loro, sono delle guide. E da lì poi nasce la creatività relativa alle caratteristiche del personaggio. L’osservazione è stata messa su due piani, interiore ed esteriore, quella di Favolacce era una sceneggiatura che quando la leggevi tra le righe trovavi degli specchi, e su questi due piani ho trovato tante cose, anche un linguaggio comune”.