L’aula piena di ragazzi, sullo schermo i video d’epoca, sui banchi i cartoncini gialli. Gialli come la bandiera che un tempo segnalava le navi con a bordo gli appestati. Proprio il motivo per cui Bandiera Gialla fu il nome scelto per il programma che cinquant’anni fa segnò una svolta, non solo nel mondo della radio ma anche nell’evoluzione della nostra Italia. Gli appestati erano i giovani che ascoltavano una musica diversa da quella paludata fino ad allora ‘reperibile’ e che nel programma di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni trovarono un punto di riferimento. Tra i festeggiamenti per il mezzo secolo di età, anche una tappa all’Università La Sapienza di Roma per una lezione speciale. Difficile per gli studenti di oggi cogliere fino in fondo la valenza di Bandiera Gialla, la forza dirompente di una trasmissione che ha inciso profondamente dal punto di vista sociale nell’Italia del boom economico. Difficile, ma non impossibile se a prenderli per mano è la verve senza tempo di Renzo Arbore, mattatore oggi all’Università come lo era allora negli studi di Via Asiago. La timidezza iniziale degli studenti, prigionieri col sorriso di comunque giusti schemi didattici, diventa sfrontatezza sotto i colpi delle battute di Renzo. “Io e Gianni siamo praticamente sordi, le cuffie di Bandiera Gialla erano quelle del fascio, talmente obsolete e antiche che ci hanno perforato le orecchie. Gianni non sente, gli devo tradurre tutto”. E allora i ragazzi si adeguano, sillabano a voce alta le domande di fronte ad A&B per far seguire loro il labiale.
La lezione finisce, inizia lo show sulle note dei pezzi d’epoca, una scaletta che ricalca fedelmente quella di un Bandiera Gialla del marzo 1966 aperta da T-Bird, la sigla di Rocky Roberts, passando per i Rolling Stones di Satisfaction fino a I Delfini. “Portavamo i dischi a dirigenti della radio per farceli approvare, ma dovevamo escogitare espedienti per farceli approvare. E allora quando c’era la parola che non poteva passare in radio, ci parlavamo sopra o Gianni ballava”, racconta Arbore che allora, per essere sempre aggiornato sulle nuove uscite di dischi, era abbonato a Billboard, “forse l’unico italiano” dice. Oggi ci può sembrare normale, allora non lo era. “Cercavamo radio Lussemburgo per trovare una musica. Noi non avevamo dischi stranieri, nei negozi non c’erano” ricorda Roberto D’Agostino, 50 anni fa tra il pubblico di via Asiago insieme, tra gli altri, a Renato Fiacchini (non ancora Zero), Loredana Bertè e anche Dario Salvatori, che sottolinea il ruolo anche didattico di Bandiera Gialla: “ha formato un gusto musicale”. E la nascita di una generazione. “Un certo tipo di musica allora si chiamava yé-yé, noi inventammo la musica beat, rubando il termine a Kerouac e Ferlinghetti” sottolinea ancora Arbore. “Ma quali erano i criteri che usavate per scegliere le canzoni?” chiede un ragazzo, “avevamo delle passioni, innamorati dell’R&B passavamo di tutto: Aretha Franklin, Wilson Pichett, Otis Redding, James Brown” risponde Arbore. “Secondo quanto pagavano i discografici” la battuta di Boncompagni, le sue uniche parole in tutta la lezione. Il cinico e l’entusiasta, Gianni&Renzo. Auguri Bandiera Gialla, 50 e non sentirli.