arriva per tutti nella vita. Si tratta di un momento decisivo, fondamentale, inevitabile e assolutamente necessario. Per alcuni è il matrimonio, per altri l’inizio di un nuovo lavoro o, al contrario, la conclusione di una carriera, per alcuni un figlio e per altri ancora un viaggio avventuroso. Per Dario, che da bambino sulle ginocchia del papà ha guardato estasiato le immagini televisive dell’allunaggio del 69, il grande passo è quello: arrivare sulla luna. Soprattutto dopo aver sentito Neil Armstrong pronunciare la fatidica frase “questo è un un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. E ora che è grande, in paese lo chiamano Luna Storta perché a quel grande passo, probabilmente impossibile, ha dedicato tutta la sua vita. Il grande passo è il nuovo film di Antonio Padovan, regista veneto che dopo quel gioiellino d’esordio intitolato Finché c’è prosecco c’è speranza, per la sua surreale e un po’ naif (nel senso buono del termine) opera seconda, ha rivoluto Giuseppe Battiston, perfetto nel ruolo di un uomo irascibile e sempre incazzoso con tutto e tutti, privo di un qualunque minuscolo pelo sulla lingua che ci vuole un attimo a mandarlo in escandescenza, e deciso ancora e per sempre a raggiungere il suo argenteo obiettivo, e per questo considerato da tutti mezzo matto. Dario vive in un vecchio casale di campagna con qualche gallina di cui mangia soltanto le uova, praticamente ogni giorno, proprio vicino al Po. Sofferente cronico, ma ingannevolmente silente, di sindrome d’abbandono paterno, è ancora convintissimo che la differenza tra gli uomini e gli animali stia proprio lì, nell’avere dei sogni, proprio come gli disse il genitore poche ore prima di sparire per sempre e inaspettatamente dalla sua vita. Eppure non riesce a odiarlo, non coscientemente almeno, e trova sempre una giustificazione alla sua lunga assenza, rifugiandosi nelle bugie. Cosa che non fa invece Mario, il suo fratellastro che vive a Roma dove gestisce una ferramenta con la madre, peraltro eletta a chef personale (la cena che lei gli prepara ogni sera è una delle sue ragioni di vita…) I due, che si sono visti una sola volta nella vita, anni addietro – anche quell’evento celebrato dall’assenza paterna – non potrebbero essere più diversi, seppure fisicamente si somigliano molto, almeno così notano in paese quando Mario, dopo qualche tentennamento, decide di andare a dare una mano a quel fratello un po’ fuori di testa che pare abbia combinato un bel casino. Mario è interpretato da Stefano Fresi – che ci aveva anticipato di questo film nella nostra videointervista per La Befana vien di notte – che in realtà con Giuseppe Battiston non ha un lineamento che è uno in comune, ma soltanto la cosiddetta robusta costituzione, e troviamo infatti strano che in molti abbiamo applaudito alla loro union cinematografica perché realmente somiglianti come fratelli… ma questa è un’altra storia.
La storia de Il grande passo invece è toccante e poetica e il film scorre piacevolmente, grazie sia alla bravura ineccepibile dei due protagonisti che all’accuratezza nel costruirne e raccontarne le differenti personalità. Ma soprattutto per l’attenzione e la delicatezza con cui è delineato quel processo che va dalla fascinazione subita di un fatto, cioè l’impatto emotivo e potente che un episodio senza dubbio straordinario come l’arrivo dell’uomo sulla luna provocò in tutti noi, alla sua radicata interiorizzazione, fenomeno indubbiamente meno comune, tanto da farne l’unico vero scopo della propria vita, rinunciando praticamente a viverla; una sorta di aberrazione o devianza, se vogliamo, che ha trovato terreno fertile e causa scatenante nel rapporto intenso e simbiotico tra un padre e un figlio, rapporto reciso improvvisamente e inesorabilmente con un taglio netto e inspiegabile, in un momento particolare della vita del ragazzino e dell’umanità tutta. Quegli ultimi istanti di felicità ed eccitazione condivisi con il padre – interpretato nel finale da Flavio Bucci nella sua ultima interpretazione prima di lasciarci – Dario li ha voluti per sempre con lui, come a negare un abbandono troppo doloroso, trasformando il suo desiderio di voler ripetere quell’evento da protagonista, nella sua unica ragione di vita. E ci commuove.
Anche Mario ha avuto la vita segnata e deviata da suo padre: a vederlo adesso non si direbbe, ma da ragazzino aveva un roseo futuro nell’atletica leggera, nella corsa in particolare, poi anche per lui il papà è scomparso in un puff!, non prima però di avergli fatto perdere una gara decisiva per la sua carriera e adesso di correre ha proprio smesso, e non solo in pista. E ora, dopo le prime naturali incomprensioni, Dario e Mario si sono ritrovati, annusati, compresi: accomunati dallo strappo di un dolore che li ha colpiti entrambi nella morbida età dell’infanzia anche se in modo diverso, e di fronte a una difficoltà da risolvere, possono sostenersi, aiutarsi, scambiarsi pregi e difetti, a seconda delle necessità: la razionalità e lucidità di Mario e la passione e la leggerezza – nonostante tutto – di Dario.
Due mondi che si toccano e si conquistano, pacificamente, a vicenda. Una visione condivisa che non poteva che essere raccontata se non con una condivisione di stili e ispirazioni: “Raccontando questa storia ho voluto rendere omaggio a due mondi del cinema che amo e che vivono dentro di me, irrimediabilmente impastati l’uno con l’altro – spiega Antonio Padovan – da un lato quello americano, un po’ infantile e sentimentalista, con cui sono cresciuto da bambino: il cinema di sognatori come Steven Spielberg, dell’ingenuità vista come valore, dell’inno alla meraviglia, delle inquadrature a stringere su primi piani di bambini che fissano qualcosa di fantastico, e noi con loro. Come ammirare la luna. Dall’altro il cinema della mia terra, quello silenzioso e sincero, creato da artigiani come Carlo Mazzacurati, fatto di spazi dilatati e di sentimenti delicati e autentici, traboccante di affetto per la normalità. La campagna con la nebbia, e i suoi abitanti. Questi due mondi s’incontrano e si scontrano in questa storia che parla del sogno di andare sulla Luna, e di due fratelli che imparano a conoscersi”-
Nel cast anche Camilla Filippi, Roberto Citran, Teco Celio, Evelina Meghnagi. Le musiche sono di Pino Donaggio. Presentato in anteprima al Torino Film Festival che ha premiato i due protagonisti come migliori attori, e poi a Roma il 6 agosto scorso, Il grande passo arriva in sala giovedì 20 agosto con Tuckerfilm.