Ha vinto il Premio Raffaella Fioretta della XVIII edizione di Alice nella Città Il Mio Corpo di Michele Pennetta come miglior film italiano tra le opere prime e seconde, assegnato dalla giuria composta da Dario Albertini (regista), Valentina Lodovini (attrice) e Riccardo Milani (regista) “per averci fatto conoscere Oscar e Stanley, due corpi, due anime; due solitudini che si sfiorano per un istante vagando prigionieri nella stessa terra alla ricerca di emancipazione. ‘Il mio corpo’ è un’opera che ci racconta di abbandono, di rifiuto, di degrado e umanità, Pennetta lo fa con grande efficacia ma sopratutto con una preziosa delicatezza che lo contraddistingue” recita la motivzione. Anche grazie al premio, che consiste in un sostegno per la distribuzione del film, Il mio corpo arriverà a novembre al cinema.
Due ragazzi differenti tra loro, accomunati dall’essere ai margini, dal non avere scelta né futuro, perché qualcuno ha già deciso per loro ciò che non avranno e non saranno mai, a loro non resta che il loro corpo, la parte fisica del loro essere umano, da usare per sopravvivere. Oscar, siciliano, la madre che se n’è andata da tempo, aiuta il padre e il fratello più grande a rimediare soldi rovistando nelle discariche abusive, non ha avuto un’infanzia, non ha un’adolescenza, e nulla davanti a sé che gli dia un motivo per crescere e vivere; Stanley arriva dalla Nigeria, fa le pulizie in chiesa, raccoglie frutta e porta animali al pascolo, qualunque cosa per poter restare e non tornare nella sua terra, per fortuna ora ha un permesso di soggiorno e per un paio di anni può stare tranquillo, ma poi? Dopo ‘A Iucata e Pescatori di corpi, e prima del prossimo lavoro che sarà nei Balcani, con Il mio corpo, presentato in anteprima ad Alice nella Città, Michele Pennetta, varesino e svizzero di adozione, torna per la terza ed ultima volta a girare in Sicilia, non in quella fatta di mare, sole, granite e turisti, ma quella nuda e cruda dell’entroterra, paragonata a un paese raso al suolo, fatta di miniere abbandonate e desolazione. Ed è quanto hanno in comune Oscar e Stanley, oltre alla solitudine e a un senso di vuoto che non li abbandona. Il mio corpo porta all’attenzione di tutti le loro vite e quel futuro che tanti ragazzi come loro non hanno più o non hanno mai avuto. Pochi dialoghi, tanti silenzi, le immagini e gli sguardi parlano di più. E parla la notte, in una scena finale dove i due ragazzi, forse, si incontrano. La nostra videointervista a Michele Pennetta: