Il nuotatore di Auschwitz, videointervista a Raoul Bova: lo sport non mi ha fatto conoscere il male

di Patrizia Simonetti

Non è un assiduo frequentatore del palcoscenico Raoul Bova, per questo tra un Don Matteo e un Emily in Paris, fa particolarmente piacere trovarlo a teatro, specialmente come unico protagonista che si fa in tre ne Il nuotatore di Auschwitz, che racconta la straordinaria storia del campione di nuoto francese Alfred Nakache a sua volta raccontata nel libro Uno psicologo nei lager dello psichiatra austriaco Viktor E. Frankl. In comune i due uomini, entrambi ebrei, hanno avuto quella rara e straordinaria esperienza di sopravvivere al campo di concentramento, lo stesso per entrambi, quello polacco di Auschwitz.

Lo spettacolo, scritto e diretto da Luca De Bei, debutta sabato 16 novembre al Teatro del Fuoco di Foggia, e dopo Lacedonia (AV), Fasano (BR), Conversano (BA), Taviano (LE), Lamezia Terme (CZ) e Catanzaro, il 27 novembre approda al Teatro Il Parioli Costanzo di Roma ad aprirne la stagione, e dove resterà in scena fino all’8 dicembre. Ed è qui che oggi abbiamo incontrato Raoul Bova, al quale abbiamo anche chiesto se fosse stato mai salvato da una sua passione, che sia il nuoto, la recitazione o l’amore: “facendo lo spettacolo mi sono tornate in mente tantesituazioni in cui sono stato salvato – ci ha risposto –ma sicuramente dalle persone che mi volevano bene. Istintivamente avrei fatto degli sbagli, sarei caduto e mi sarei fatto molto male, ma semplicemente lo sport non me l’ha fatto conoscere il male, alzando una sorta di barriera…”

Alfred Nakache è stato salvato dalla sua passione, il nuoto. Nonostante ridotto a quaranta chili di peso, non ha mai smesso di nuotare, neanche nel campo di concentramento, riuscendo a farlo in una sorta di bacino idrico dall’acqua gelida. Solo così, con forza e determinazione, ne è uscito vivo e cmunque forte, riprendendo a gareggiare anche alle Olimpiadi di Londra. Da Auschwitz è uscito vivo anche Viktor Frankl che sulla sua esperienza e su quella di Alfred ha scritto un libro che ha ispirato lo spettacolo.

Il nuotatore di Auschwitz vuole soprattutto restituire e rendere omaggio a due uomini straordinari e portatori di un messaggio di speranza, e cioè che se vivere è certo anche sofferenza, un modo per affrontarla è cercarne un senso guardando verso il futuro con uno scopo. “Se la storia di un internato ad Auschwitz ci riporta inevitabilmente alle tante testimonianze ascoltate fino ad oggi, è vero che quella del nuotatore Nakache si distacca da queste per diventare in special modo emblema di una resistenza portata avanti e raggiunta con coraggio e caparbietà – spiega l’autore e regista – Una figura che per emergere appieno ha però bisogno del suo doppio, lo studioso Frankl, che analizza e teorizza ciò che l’istintivo Alfred pone in atto di getto. In questa visione Alfred e Viktor sono uno lo specchio dell’altro, sono le due facce di una stessa medaglia e si fondono in un’esperienza capace di dare agli spettatori il senso ultimo dell’esistenza“. La nostra videointervista a Raoul Bova: 




La Foto sono di Angelo Costanzo