Tre regni vicini popolati di re e regine, principi e principesse, ma anche di vecchie lavandaie, artisti circensi, streghe, orchi e mostri, dove le favole diventano nere e i sogni si trasformano in incubi.
C’è la Regina di Selvascura, bella e disperata perché non riesce ad avere figli, e a nulla valgono i tentativi del Re che l’ama tanto per distrarla e renderla felice, perché dovrà arrivare a morire per farlo e scambiare la sua vita con quella del suo erede tanto egoisticamente voluto dall’amata moglie. Non importa se dovrà affrontare un drago marino e strappargli il cuore restandone ucciso, perché quel cuore, cucinato da un vergine e mangiato dalla regina, renderà lei, e la vergine stessa, gravide in una sola notte e madri in quattro giorni.
C’è il Re di Roccaforte, fissato con il sesso con chiunque e ad ogni ora, che si invaghisce di una voce che canta perché appartiene, ne è certo, a una bellissima fanciulla che vuole nel suo letto. Invece è di una delle due vecchie sorelle lavandaie che però l’occasione non se la vogliono far sfuggire, una in particolare, che si fa incollare pelle e seni cadenti dalla sorella per ingannare al buio quel re erotomane e trarne vantaggio. E lo avrà, ma non per molto e ad un prezzo troppo alto.
E poi c’è il Re di Altomonte che ha una figlia da sposare anche se a lui poco importa chi la porterà all’altare o su una montagna sperduta, sia pure un orco: lui è preso solo dalla sua pulce che gli salta da una mano all’altra e poi cresce, nutrita ad amore e bistecche al sangue, a tal punto che sembra un armadillo e alla sua morte il re sarà così disperato da conservarne la pelle e usarla al posto della spada per un torneo-indovinello il cui vincitore sposerà la figlia.
Si ispira al letterato barocco campano Giambattista Basile, primo vero favolista, che nel suo Lo cunto de li cunti o Pentamerone scritto nel 1634 raccoglie in forma scritta 50 racconti tramandati oralmente dai tempi dei tempi che a loro volta ispireranno i più celebri scrittori di fiabe, dai fratelli Grimm ad Andersen e Perrault: è Il racconto dei racconti, ultimo film e primo sorprendente fantasy di Matteo Garrone, che da quel decamerone fiabesco ha scelto tre storie al femminile: La cerva fatata, La vecchia scorticata e La Pulce, trasformandole, con qualche contaminazione e aggiunta creativa, ne La Regina, Le due Vecchie e La Pulce, tre storie fantastiche e nere che si sfiorano tra loro in perfetto stile da Trono di Spade.
Lontano da Gomorra e da L’imbalsamatore ma poi neanche tanto se vai a parlare con Garrone, l’atmosfera è quella gotica e fiabesca del fantasy più moderno e contemporaneo, come lo sono anche i temi, e per quello un po’ ti turba: il desiderio egoistico, la giovinezza e la bellezza a tutti i costi, il sesso, la gravidanza desiderata con ossessione, e poi il primo arcaico tentativo di lifting che ti fa schifo ma anche ridere al tempo stesso, come l’enorme pulce che cresce e fa impressione e tenerezza insieme quando muore, e che dopo averla vista ti crea qualche difficoltà a mettere l’antipulci al cane. Anche il drago marino fa un po’ pena con quell’aspetto da innocua salamandra gigante sorpresa nel sonno dalla morte in fondo al mare. Meno tenerezza ci fanno gli umani, non certo così puri e indifesi, sebbene vittime di se stessi.
Un cast grandioso da Salma Hayek che è la regina, a Vincent Cassel che è il re erotomane, a Toby Jones che fa il sovrano con la pulce, fino a Bebe Cave, bravissima nel ruolo di sua figlia Viola, e ai gemelli Christian e Jonah Lees, oltre alle partecipazioni, brevi ma intense, di Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Renato Scarpa. Splendidi anche gli effetti speciali di Leonardo Cruciano, le scenografie di Dimitri Capuani e i costumi di Massimo Cantini Parrini.
Costato 12 milioni, girato tutto in inglese ma interamente in Italia tra la Puglia, la Sicilia, La Toscana, l’Abruzzo e il Lazio, Il Racconto dei Racconti esce in oltre 400 sale giovedì 14 maggio, nello stesso giorno in cui viene presentato in concorso al Festival di Cannes. Noi speriamo che vinca.