Intervista a Andrea Dodicianni, cresciuto a Donizetti e Cobain. A settembre il primo album, intanto c’è il singolo Piccadilly Line

di Gerardo De Vivo

Andrea Dodicianni

è elegantemente infantile. Elegante lo dico io dopo aver sentito il suo singolo Piccadilly line e averlo intervistato. Infantile è un termine scelto da lui per definire quello che spesso è il suo approccio alla musica, evidente anche nel ricercato video che accompagna il brano, preludio di un album atteso per settembre dal titolo Puoi tenerti le chiavi. Tutto ben riassunto dal nome d’arte scelto dal 26enne veneto Andrea Cavallaro.

“Mi chiamava così un vecchio amico .- racconta – Io sono stato dodici anni in conservatorio, lui mi prendeva in giro dicendo che ero il solito rompipalle quando lo richiamavo per qualcosa. Un giorno, mentre mi stava insultando, ha detto cantilenando ‘dodicianni, dodicianni’. Ferma tutto, ho trovato il nome d’arte che cercavo! È azzeccato perché nell’approccio alla musica ho spesso modi infantili”.

Infantili ma non banali, nel tuo lavoro sia musicale che video c’è un mix di tanti elementi diversi

Mi piace che la gente lo noti. Prendiamo il video, guardandolo svogliatamente si potrebbe pensare che certe cose siano casuali, invece ogni frammento è studiato, ogni parola è estremamente pesata. Non è una canzonetta, anche se è fatta da tre accordi e mi piace che la gente se ne accorga.

Pensi davvero che chi ascolta i tuoi brani sia così attento?

Penso che ci siano due fasce di ascoltatori: ci sono le ragazzine che mi scrivono “che bello, che bella canzone” e gente che mi scrive “ma perché lo hai fatto in fa diesis maggiore il pezzo?”. Mi piace il fatto che ci sia una chiave di lettura molto leggera, quella del consumatore di massa, e una molto più profonda di chi chiede spiegazioni su musica e testi.

Piccadilly Line parla del dramma di due persone che si accorgono di volersi bene ma di avere aspettative di vita troppo diverse per poter stare assieme e l’ispirazione è chiaramente londinese, l’album è stato realizzato a Los Angeles sotto la guida di Howie Weinberg che ha lavorato con Nirvana, Muse, Metallica, Jeff Buckley. Una passione dichiarata la tua per Londra e gli Stati Uniti

Vado a Londra almeno una, due volte l’anno, è una città che amo particolarmente. Come ho un amore sconfinato per l’America, ci sono stato più volte e quando ho visto il varco per andarci a lavorare l’ho sfruttato a pieno. È una terra che amo, molto controversa per certe cose, ma per altre è vent’anni avanti all’Italia.

Dal punto vista strettamente musicale com’è stata l’esperienza a Los Angeles?

Devastante perché ho sempre lavorato in Italia, sono un ragazzo di paese. Senza aver mai provato a pieno cosa vuol dire fare un percorso musicale così importante, mi sono trovato catapultato per due settimane a Los Angeles con un guru della musica come Howie Weinberg, sulla sedia dove si sedeva Kurt Cobain. Puoi immaginare il mio stato emotivo. Però lui è stato un signore, un grande, mi ha messo subito a mio agio e abbiamo parlato un po’ di tutto. Musicalmente ha messo una marcia in più al prodotto.

Prodotto materialmente made in Usa ma artisticamente italiano, si può dire?

Io canto in italiano e sono artisticamente molto fiero di esserlo, soprattutto perché i più grandi musicisti al mondo sono italiani. Sono un appassionato di lirica, mia mamma era una cantante lirica e andare all’estero e sentirmi dire che sono fortunato perché vengo dal Paese di Donizetti o Puccini, per fare un esempio, mi rende molto fiero e orgoglioso.

Hai citato Puccini, Donizetti e Kurt Cobain. Nella tua formazione quali artisti hanno influito di più?

Ho avuto un grande amore per Tom Petty, ho ascoltato Bob Dylan e tutta la scuola dei cantautori americani, ma anche i Beatles. Prima ancora la lirica: ho sempre amato le opere di Puccini, sono andato a vederle, le ho esplorate, ho avuto modo, grazie ai miei studi classici, di approfondirle molto bene. L’altro mondo dal quale attingo a piene mani quando faccio musica è quello dell’arte contemporanea, del quale sono appassionato e studioso. Su tutti preferisco Maurizio Cattelan, a cui mi sono ispirato anche per le immagini quasi fotografiche che compongono il video.

Anni di studio in conservatorio e punti di riferimento importanti, non solo musicali. La tua ricerca del successo non sembra prevedere scorciatoie. I talent possono esserlo?

Sono bellissimi, sono di sicuro uno strumento valido per un giovane che vuole mettersi in luce, ma non fanno per me. Non mi sento parte di quel mondo.

E qual è il tuo mondo?

È già da un mese che sono in tour insieme a un cantautore trentino, Francesco Camin, ci stiamo dando da fare per farci conoscere e andremo avanti per un anno. Abbiamo un furgone, ci viviamo dentro, suoniamo, facciamo vita da avventura. Questo è per me vivere la musica.