Dal maggio del 2013 la nave mercantile marocchina Kenza è rimasta ancorata nel porto di Cagliari. Solo ieri, dopo il dissequestro e un accordo tra debitori e creditori, è potuta ripartire con un nuovo proprietario e un nuovo equipaggio. Una vicenda complessa che ha visto protagonisti 15 marinai marocchini che per mesi e mesi hanno presidiato e occupato l’imbarcazione per difendere il loro lavoro rinunciando volontariamente e per tanto tempo alla loro libertà nella speranza di conservarlo e soprattutto di recuperare i salari arretrati che l’armatore, ex proprietario della Kenza, non ha versato loro per 6 mesi. Per tutto quel tempo la Kenza è stata quindi la loro casa: lì hanno mangiato, dormito, pregato, osservato il Ramadan. Ad aiutarli e supportarli tutta la città di Cagliari in una vera e propria gara di solidarietà tra istituzioni e associazioni.
A raccontare tutto ciò è il film di Peter Marcias dal titolo La nostra quarantena, prodotto da Cape Town, presentato come Evento Speciale al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro, come anteprima sarda al Festival di Tavolara e nelle nostre sale a ottobre distribuito da Istituto Luce Cinecittà. “Su quella nave la città di Cagliari sembra lontana, il mondo solo un’ombra fugace – dice il regista oristanese – L’unica vera realtà è il tempo, un tempo che scorre incessante ed impietoso, che assiste alla rappresentazione di un piccolo dramma che simboleggia il dramma universale del lavoro.”
La nostra quarantena mescola le vere storie dei marinai fatte di mesi e mesi di solitudine e sofferenza con quella immaginaria della docente universitaria Maria Mercadante, interpretata da Francesca Neri, e del suo studente Salvatore, cui da vita Moisé Curia, che effettua dietro suo incarico una ricerca-reportage sull’intera vicenda, impegno che spingerà il ragazzo a crescere e ad interrogarsi sul proprio futuro e che sarà al centro di discussioni e scambi di opinioni anche accesi e confusi tra i due. Inevitabili l’attinenza e il paragone con la triste situazione del lavoro, oggi, per i giovani italiani, molti dei quali costretti o spinti a lasciare il proprio paese.