Max e Kyle sono due riders acrobatici e spericolati, amano mettersi in pericolo, lo sport estremo è per loro priorità di vita, l’adrenalina la loro ragione d’esistere, e postano le loro avventure su youtube sperando in uno sponsor. Tutto questo li lega in un’amicizia forte e quasi morbosa. Max è single, non ha legami ma un sacco di debiti con brutta gente che stavolta sembra proprio intenzionata a farlo fuori; Kyle ha una moglie di nome Christine e una figlia di tre anni che si chiama Mia che vede poco, non c’era neanche quand’è nata perché si era rotto una gamba in uno dei suoi esperimenti più spericolati da un’altra parte, e Christine lo rimprovera di continuo perché deve smetterla di rischiare la vita, piuttosto si trovi un lavoro serio che possa mantenere la famiglia sennò, minaccia, lei se ne torna dal padre e si porta anche la piccola. Lo strano e inquietante “invito” a una gara segreta dove si possono vincere 250mila dollari sembra arrivare proprio al momento giusto per entrambi. E in effetti, in un certo senso, è proprio così. Da quel momento però tutto diventa un incubo a velocità supersonica: quei sentieri scoscesi da correre in bike tra acrobazie e pulsazioni a duemila sarebbero uno scherzo per loro se si trattasse davvero soltanto di una gara, invece ecco l’uomo nero, la paura e il male che non t’aspetti, qualcuno che ti scava dentro e tira fuori i tuoi sensi di colpa, la violenza di una situazione in cui o corri o muori, la delusione per chi non è ciò che credevi… Ecco Ride, a tenere con il fiato sospeso dall’inizio alla fine e a confonderti anche un po’ per la musica battente e quasi ininterrotta firmata da Andrea Bonini (Mine) e per i cambi di direzione non solo dei percorsi in mezzo ai boschi dei due spericolati bikers ma del film stesso, che alterna e mescola generi che vanno dall’adrenalinico all’action, dallo sportivo al reality al thriller con spruzzate di splatter, sfiorando il family e chiudendo in bellezza, si fa per dire, con una bella chilata d’horror puro, e con dentro citazioni, metafore e allegorie a gogò, a raccontare in maniera assolutamente nuova, estremizzata e affascinante una generazione che, seppur con coraggio, punta all’apparire a discapito dell’essere, dipendente senza saperlo, o forse no, da computer, visualizzazioni e like, perché anche morire va bene purché mentre lo fa vieni filmato e visto dal mondo intero. Solo così è tutto vero, come le tante riprese dallo schermo di un pc. Ma la novità più assoluta ed evidente è l’uso prolungato, per la maggior parte del film, della Go Pro, piccole telecamere d’azione sparse ovunque.
Ride è una creatura tutta a sé, un film totalmente atipico e mai visto nato dalla fantasia spiazzante degli autori e registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, al secolo Fabio&Fabio (True love, Mine) che l’hanno scritto assieme a Marco Sani (Addio fottuti musi verdi, Suburra 2), l’hanno coprodotto con Lucky Red che lo porta in sala dal 6 settembre, e con Mercurious e Timvision, e l’hanno pure curato come supervisori artistici. E sono stati loro ad affidarne la regia al milanese Jacopo Rondinelli al suo primo lungometraggio dopo tanti spot e videoclip e spot. Protagonisti Lorenzo Richelmy (reduce da Una vita spericolata) nel ruolo di Max, Ludovic Hughes in quello di Kyle, e con Nathalie Rapti Gomez, Simone Labarga e Matt Ripp. “Fare un film come Ride vuol dire fare un film dove non sai dove andrai a finire, le dinamiche del film convenzionali sono capovolte – ci racconta un entusiasta Lorenzo Richelmy nella nostra videointervista che trovate a fine articolo – io avevo io le macchine da presa addosso quindi non avevo limite di spazio per un’azione, così qualunque idea o improvvisazione era ben accetta perché ci sarebbe stata una telecamera che l’avrebbe ripresa…. è come avere un cavallo che ha sempre corso con i paraocchi e a un certo punto glieli levano, per me è stato un grande godimento”. “Sin dall’inizio Ride è stato un progetto pionieristico – ci rivela Fabio Guaglione nella nostra videointervista – abbiamo dovuto capire come scriverlo, come girarlo, come postprodurlo, una vera avventura”. “Un modo assolutamente non convenzionale di fare cinema – aggiunge il regista Jacopo Rondinelli – per cui abbiamo dovuto anche inventarci delle tecniche di gestione delle camere, ma anche degli attori che le portavano su di loro, un’esperienza difficile e stimolante, ci sono scene con più di 20 camere attive contemporaneamente poste sugli attori, sulle biciclette, per terra, sott’acqua, ogni scena era un exploit”. “Che si usano in questo modo è stata la prima volta – continua Fabio Resinaro – qui le go pro sono protagoniste, i personaggi indossano queste camere e la cosa è dichiarata nella storia perché tutto si ambienta in una sorta di reality show… per la prima volta si prende quell’estetica degli sport estremi, quelle action cam e quell’immaginario che oggi va molto su youtube, e si sposta tutto su una narrazione più tradizionale da film thriller o horror”.
Perché, come si diceva, ci sono le tecniche innovative e il mix di generi a fare di Ride un prodotto a sé, con tanti effetti visivi ma anche più storie sotto come quella di un’amicizia distrutta dalle circostanze: “oppure squarciata per vederla davvero – sottolinea Lorenzo Richelmy – Max e Kyle sono due amici che fanno sport estremi e video per youtube, contattati da un’agenzia sconosciuta per una gara con un grande premio in denaro, ma non si tratta solo di soldi e dovranno mettersi a confronto reale. Quindi è un film dove c’è molta azione e adrenalina, ma si poggia su una base di umanità che rende la storia diversa da un fumetto facile”. “Ognuno di noi ha cercato di mettere nel film quello che ama – dice Fabio Guaglione – e la sfida è stata quella di trovare un equilibrio tra tutti gli elementi e di aver creato un genere Ride”. “Veniamo tutti da immaginari diversi – aggiunge Jacopo Rondinelli – ma siamo cresciuti tutti con gli stessi punti di riferimento, dai videogiochi ai giochi da tavolo, all’estetica degli anni ottanta… Ride è un film a vari strati con una parte estetica sugli sport estremi, con la narrazione e con tutta una serie di citazioni delle nostre passioni”. “È una storia universale – chiosa Fabio Resinaro – lo sport estremo è un pretesto per raccontare una storia rivolta a chiunque, ovviamente questo tipo di linguaggio è abbastanza innovativo per cui speriamo che soprattutto i giovani accolgano bene questo film”.
Ride però non è solo il film ma anche un fumetto e un libro per saperne di più sulla storia e i personaggi che la compongono, e non si esclude un sequel e neanche una serie TV. Del resto Ride or die il mantra… Ed ecco le nostre videointerviste a Lorenzo Richelmy e a Jacopo Rondinelli, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro: