Definirlo un film di fantascienza, più o meno riuscito, con effetti speciali più o meno all’avanguardia o piuttosto un po’ vintage, sarebbe un errore. E non sarebbe giusto. Tito e gli alieni, il nuovo film di Paola Randi in sala da giovedì 7 giugno con Lucky Red è un racconto del cuore, della malinconia, del non farcela senza di te che poi invece alla fine ce la fai sempre, per fortuna. Un film poetico che tocca più volte il tema della morte senza per questo risultare lugubre o triste. Un film di fantapoesia, potremmo dire. Tito e gli alieni racconta il grande dolore di un uomo che ha perso l’amore della sua vita. Solo che non è un uomo qualunque, ma uno scienziato, chiamato da tutti il professore, che sta, o meglio stava, lavorando ad un importante progetto per il governo degli Stati Uniti nel mezzo del deserto del Nevada, proprio lì dove sorge la leggendaria e fantomatica Area 51 dove si sospetta che ci siano alieni e anche qualcuno che faccia esperimenti su di loro. Ma se ci si aspetta di vedere omini verdi con gli occhi grandi che fanno ciao ciao con le lunghe manine, non è questo il film.
Il professore, che è napoletano e ha la faccia e lo sguardo malinconico di Valerio Mastandrea, ha smesso in realtà di lavorare perché sua moglie morta gli manca troppo. E allora passa le due giornate steso su un divano con le cuffie sulle orecchie collegate a una sorta di ombrello rovesciato che in realtà sarebbe un raccoglitore di suoni: in pratica tanto tempo prima gli è capitato di captare la voce della moglie dallo spazio e da allora continua ad aspettare di ricatturarla e per questo ha anche costruito una sorta di robot dal cuore quasi umano con cui finirà persino per ballare. “In realtà è piuttosto rassegnato perché la cerca senza fare grossi passi avanti che fa solo quando si libera da quella stessa ricerca” ci dice Valerio Mastandrea nella nostra videointervista che trovate a fine articolo. La sua vita dunque scorre così, unica distrazione una ragazza francese e decisamente eccentrica che si chiama Stella (Clemence Poesy in questi giorni anche in TV in Picasso) che organizza niente meno che matrimoni in stile alieno per turisti. Finché non muore anche il fratello del professore, Fidel (Gianfelice Imparato) che attraverso un videomessaggio lo informa di avergli affidato i suoi due figli, l’adolescente Anita (Chiara Stella Riccio) e il piccolo Tito (Luca Esposito), che chiede continuamente di parlare con il papà morto, che certo non si aspettavano una Las Vegas fatta di osservatori, marchingegni e tanto, tanto deserto… Eppure saranno loro con l’irruenza e la schiettezza dei ragazzi a ritirare su lo zio, anzi “lo fanno rinascere, una persona che lui non era” come ci dicono Chiara Stella Riccio e Luca Esposito nella nostra videointervista, con un gran finale che sa di sogno e poesia e commuove chiunque senta la mancanza di qualcuno e almeno una volta nella vita abbia pensato, desiderato, sperato di risentirne almeno la voce. Un film d’amore che non poteva che nascere da un atto d’amore:
“Qualche anno fa colsi mio padre assorto davanti al ritratto di mia madre – racconta Paola Randi – la memoria di mio padre si stava progressivamente sciogliendo come neve al sole, mia madre era scomparsa da più di dieci anni e lui passava ore in contemplazione del suo viso. Cercava di conservarne il ricordo. Da qui l’immagine che mi ha portato a sviluppare questa storia: un uomo nel deserto con delle cuffie sulle orecchie seduto accanto a un’antenna puntata verso il cielo in cerca della voce di sua moglie…” Le nostre videointerviste a Valerio Mastandrea e a Chiara Stella Riccio e Luca Esposito: